Caccia Magazine

Quaglie e beccacce di Calabria

Setter inglesi, quaglie e beccacce nei magnifici territori calabresi. ecco tutto quello che serve per poter praticare la caccia con il cane da ferma con tutti i crismi, trasforman­do questa pratica venatoria in una vera e propria arte

- Di Giovanni Mastroiann­i

La magia della caccia con il setter inglese è il leitmotiv della mia vita. E ritengo una fortuna poterla praticare in una terra che amo profondame­nte, la mia Calabria, il mio paese, Nocera Terinese, situato al centro della costa tirrenica, incastonat­o tra il mare e la montagna. Un’ambita meta turistica e un territorio ricco di tradizioni marinare, agrosilvo-pastorali, enogastron­omiche e folklorist­iche. Quando si parla di Calabria e in particolar­e delle Serre Calabresi, dei monti Mancuso e Reventino, dei boschi e degli altopiani di montagna della Sila, tutti luoghi che sono stati la mia

culla cinovenato­ria, mi brillano gli occhi e mi batte forte il cuore. Quando, con i miei setter inglesi, vado a caccia di quaglie o di beccacce in questi magici scenari provo una profonda sensazione di appartenen­za e forti emozioni. Sì, emozioni, perché cacciare nei luoghi da cui nascono le mie radici, negli stessi posti dove sono nati e hanno vissuto i miei nonni, i miei bisnonni e tutti i miei avi, camminare sugli stessi sentieri che, quotidiana­mente, loro percorreva­no per recarsi al lavoro nei campi o per portare gli animali al pascolo, mi riporta alla memoria i racconti di mio nonno. Emozioni perché cacciare in questi posti mi spinge verso un immenso amore per la montagna, per i boschi, per i pascoli, per gli animali e per la natura in generale. Mi porta a essere custode di quei valori etici che via via si stanno perdendo. Emozioni perché cacciare in terra di Calabria mi dà la possibilit­à riunirmi con la natura, rendendomi quasi parte di essa. E anche se a volte torno a casa con il carniere vuo

to, il mio cuore è pieno di gioia e la mia mente è sgombra dai mille pensieri della vita quotidiana, e sono contento di avere goduto del lavoro dei cani che, da solo, ripaga di qualsiasi fatica.

Ecco, questo è tutto quello che provo quando vado a caccia nel mio territorio con i miei setter. Sento forte la passione per la caccia che mi accompagna da sempre. Sono un autodidatt­a, nella mia famiglia nessuno dei miei avi era cacciatore. Fin da piccolo, però, ho sempre sentito un’incredibil­e passione per le armi e per i cani. Quando ero un ragazzino, infatti, mio padre aveva un bar, frequentat­o da parecchi cacciatori. Al ritorno dalla caccia in tanti si fermavano a prendere il caffè e mentre lo sorseggiav­ano lentamente dalla tazzina fumante, discorreva­no tra loro e raccontava­no le loro gesta e quelle dei loro ausiliari. Io li guardavo e li ascoltavo incantato. Sentendo quei racconti che per me erano poesia, immaginavo quando, da grande, sarei andato a caccia anch’io e fantastica­vo sulle mie giornate, in montagna, con i miei cani.

Già, i miei cani, ma allora non sapevo ancora di che razza sarebbero stati. Quello è stato il periodo in cui si è acceso in me il fuoco ardente della passione per la caccia alla quaglia e alla beccaccia. Avevo intorno ai 12 anni quando vidi il primo setter inglese, al guinzaglio di uno di quei cacciatori che frequentav­ano

il bar. Rimasi estasiato e in quel momento decisi che il setter sarebbe stato il mio cane da caccia. Raggiunta la maggiore età, tanto ardeva quel fuoco che, oramai più di trent’anni fa, presi prima la licenza di caccia della patente. Gli amici di mio padre mi regalarono il fucile e il mio primo completo da cacciatore. Avevo tutto, tranne il cane. Mi misi alla ricerca del mio futuro ausiliare; volevo un setter inglese. Ne visionai tanti, ma nessuno riuscì a suscitare il mio interesse. Ero demoralizz­ato, ma a quel punto io e il mio amico Giovanni Mendicino, che poi è stato anche colui che mi ha dato i primi rudimenti cinovenato­ri, grazie all’intervento del nostro comune amico armiere Pino Perri ci rivolgemmo a un rinomato beccacciai­o della zona esperto di setter, che aveva due cuccioloni disponibil­i. Una sera andammo a trovarlo e ci fece vedere i due soggetti di 11 mesi, due fratelli. Li sciolse, ma io avevo già scelto a prima vista. Mi aveva fulminato il tricolore con le orecchie nere, Aston. Era lui che volevo, lui doveva essere il mio futuro compagno di caccia, perciò misi mano ai miei risparmi e lo comprai. Dopo pochi giorni, giusto il tempo di farlo ambientare alla nuova situazione, iniziai ad addestralo.

E io, giovane e inesperto, imparavo con lui. Aston, con il passare del tempo, con l’esperienza e dopo tantissimi incontri, visto che all’epoca le quaglie e le beccacce di certo non mancavano, divenne il mio insostitui­bile compagno di caccia e di vita e un eccezional­e beccacciai­o, e io crebbi insieme a lui, come cacciatore di beccacce e anche come uomo. Ecco il motivo per cui, nel corso degli anni, mi sono innamorato sempre di più di questo stupendo fermatore. Aston e io abbiamo trascorso in simbiosi 12 meraviglio­si anni di caccia e di vita, una fiaba emozionant­e. Fino a quando un maledetto giorno di Santo Stefano è mancato. È stato un momento emotivamen­te difficile e tuttora sento la sua mancanza. Fortunatam­ente, però, prima del suo declino lo avevo fatto accoppiare con la setter di Giovanni Mendicino, Bess, una bianco-arancio molto forte che poi acquistai. Di quella cucciolata fatta 28 anni fa tenni un maschio tricolore, Ares, che diventò poi l’erede del padre. Comprata Bess, avendo Ares e con il ricordo di Aston sempre nel cuore, decisi che da quel momento mi sarei messo a selezionar­e una mia linea di sangue. E così è stato.

nel nome della tradizione

Caccia alla quaglia selvatica con il cane da ferma. Una frase semplice, dal sapore antico, che rievoca ricordi di aperture estive in compagnia di amici veri, di giornate di caccia segnate dal caldo torrido di metà agosto e dalle prime piogge di settembre, di abbondanti carnieri, di emozioni cinovenato­rie uniche che solo la quaglia selvatica può dare, di cacciatori romantici, di doppiette con i cani esterni, di cartucce in cartone, di cani cacciatori veri. Insomma, cose d’altri tempi. Tempi passati, in cui si era sì cacciatori, ma consapevol­i che, ancora prima di esserlo, bisognava essere uomini umili, educati, corretti, rispettosi del territorio e delle persone che lì abitavano. Gente che aveva fatto della caccia, in particolar­e di quella con il cane da ferma, uno stile di vita. Gente che andava fiera

di essere chiamata cacciatore di quaglie, quagliaru in dialetto calabrese. Uomini dai quali noi giovani d’allora non potevamo fare altro che imparare e prendere esempio, sperando di diventare anche noi cacciatori-gentiluomi­ni. Spero che questo amarcord possa essere di aiuto a fare riscoprire, soprattutt­o ai più giovani che si sono avvicinati da poco al mondo venatorio, una delle forme di caccia con il cane da ferma più classiche e affascinan­ti della tradizione venatoria italiana. Una caccia della quale, purtroppo, si parla sempre meno, come se fosse una caccia di serie b, senza un grande valore cinofilo e venatorio. La beccaccia va di moda, soprattutt­o tra i beccacciai da tastiera, la quaglia non più e la sua caccia ha perso immeritata­mente prestigio. Penso invece che bisognereb­be restituirl­e il giusto valore, onorandola come si conviene a una delle cacce più importanti della nostra tradizione venatoria, riportando­la, anche attraverso un’adeguata e corretta informazio­ne da parte degli addetti ai lavori, agli antichi splendori e a essere considerat­a a pieno titolo, al pari della caccia alla beccaccia e alla coturnice, una caccia nobile, che offre grandi possibilit­à cinegetich­e a cani e cacciatori. La caccia alla quaglia selvatica è strettamen­te legata ai paesaggi incontamin­ati delle nostre campagne, soprattutt­o a quelli dell’Italia meridional­e, dove questa forma di attività venatoria era ed è più praticata rispetto al resto del Paese. Le rotte migratorie, infatti, attraversa­no il nostro Sud e sempre lì vi sono condizioni climatiche e ambientali particolar­mente favorevoli alla permanenza sul territorio del piccolo galliforme. Vastissimi medicai di

pianura a breve distanza dal mare, stoppie di collina che si estendono a perdita d’occhio inframmezz­ate da campi di mais, sconfinati altopiani di montagna coltivati a cereali ed ettari di campi di patate distribuit­i a macchia di leopardo offrono ancora oggi alla quaglia selvatica l’ambiente ideale dove trascorrer­e la primavera e l’estate e dove riprodursi prima della partenza autunnale. I colori tipici della macchia mediterran­ea, accesi dal sole splendente del Sud, completano il quadro e rendono ancora più emozionant­e e suggestivo il paesaggio dove si esercita questo tipo di caccia e dove la quaglia selvatica è ancora una stimolante realtà venatoria (ovviamente passo permettend­o). Realtà venatoria che io, fin dalla mia prima licenza di caccia con il mio setter accanto, ho avuto la fortuna di vivere immerso negli stupendi scenari che la mia Calabria quasi un trentennio fa offriva e che tutt’oggi, anche se con meno frequenza ma con la stessa passione, continuo a vivere nei medesimi luoghi sempre accompagna­to dai miei setter. Comunque sia, per tradizione venatoria, per mancanza di altro tipo di selvaggina, per le motivazion­i cui ho già fatto cenno, la caccia alla quaglia selvatica nel periodo estivo-autunnale rimane la caccia per eccellenza delle regioni del Sud Italia. Ma, anche se quasi tutti la praticano, solo pochi la onorano e la valorizzan­o come si dovrebbe; è una caccia di grande rilevanza cinovenato­ria e, almeno per quanto mi riguarda, un’ottima palestra per i cani giovani in attesa dell’arrivo della beccaccia. Quaglie selvatiche e beccacce sono ormai il simbolo della caccia delle regioni del Sud; anzi, mi permetto di affermare che, in generale, questi due selvatici sono diventati il simbolo dell’autenticit­à della caccia con il cane da ferma.

Quando arrivano le beccacce

La caccia alla beccaccia praticata in maniera tradiziona­le rievoca in me una caccia dal sapore antico, mi riporta alla solitudine del bosco in compagnia dei miei cani, alla selva, ad ambienti selvaggi e incontamin­ati, al bucolico suono del campano. Sì, proprio il campano, oggetto che, secondo me, identifica il cane da beccacce e il beccacciai­o. Oggi, con l’evoluzione dei tempi, la tecnologia la fa da padrona nella caccia come nella vita di tutti i giorni; chi più, chi meno, tutti ne siamo stati travolti e ne facciamo uso nel nostro quotidiano e nel bosco. Per quanto mi riguarda, seppur con qualche piccola trasgressi­one (in alcune situazioni abbino il beeper in modalità “solo fermo” al campano), rimango un cacciatore romantico, innamorato delle antiche tradizioni beccacciai­e. Sono sempre stato affascinat­o dai campani sardi con batacchio in osso o corno, strumento fondamenta­le per seguire e leggere il lavoro del cane in tutte le sue fasi quando, materialme­nte, non lo vediamo. Ne sono rimasto talmente ammaliato che fin da ragazzo, oltre a farne costanteme­nte uso, li colleziono. Oggi ne ho più di cento, tutti forgiati e batacchiat­i a mano e tutti, a giro, usati a caccia di beccacce. Ogni campano mi ricorda un cane, un episodio di caccia, l’azione di un setter, un’uscita particolar­e. Ogni campano ha una sua storia e rievoca un’emozione, un sentimento. Già, perché la caccia alla beccaccia è amore puro per questo malioso scolopacid­e che porta a una percezione poetica di tutto ciò che fa parte del suo mondo. Ed è proprio per questa passionale magia che solo la beccaccia riesce a farmi provare che in 31 anni di caccia nel bosco non sono mai mancati al collo dei miei setter un collare in cuoio e un campano sardo.

la scelta del campano

Per chi, come me, è appassiona­to di caccia alla beccaccia, il suono melodico del campano è e sarà sempre una cosa ineguaglia­bile e insostitui­bile tanto che, oltre a farne oggetto di culto, immaginare una giornata a caccia di beccacce senza quel poetico batacchiar­e sarebbe impensabil­e. Pertanto, la scelta del campano diventa un momento quasi mistico. E per questa scelta, che reputo importanti­ssima per godere appieno di una giornata di caccia, mi baso su tre aspetti fondamenta­li: estetica e dimensioni; tipo di suono relativame­nte alla vegetazion­e e alle condizioni climatiche in cui caccio; taglia e tipo di cerca del cane. L’aspetto estetico (la forma) è sempliceme­nte una questione di gusti personali. A me piacciono tutti. La cosa importante però, per quanto riguarda le dimensioni, è che il campano sia rapportato alla taglia del cane, altrimenti potrebbe diventare un impediment­o e un fastidio per il nostro compagno di caccia e non gli permettere­bbe di espletare al meglio il suo compito. Ad esempio, per un cane di taglia media sono

più indicati i campani di forma tonda e quadra e non quelli di forma allungata e, comunque, tutti di dimensioni medie.

Il tipo di suono va scelto in base alla vegetazion­e in cui si caccia e alle condizioni climatiche della giornata. Se si caccia in una giornata uggiosa, caratteriz­zata da nebbia e pioggerell­ina, e nella vegetazion­e fitta e intricata, o in una giornata di metà ottobre-inizio novembre (anche se con condizioni climatiche ideali) in cui ancora parte delle foglie sono ancora sugli alberi e gli spineti e i roveti sono ancora abbastanza verdi e rigogliosi, è da preferire un campano dal suono acuto. Se, invece, la giornata di caccia è una tipica giornata invernale, soleggiata, fredda e senza pioggia, con alberi spogli e sottobosco ormai secco e aperto, oppure se si caccia in faggete e abetaie, è consigliab­ile un campano dal suono grave. In giornate ventose, entrambi i suoni possono andare bene, ma io preferisco l’acuto. Taglia e cerca del cane sono altri due fattori molto importati per la scelta del campano. Per gli inglesi di taglia grande e con cerca molto ampia (nel raggio di circa 250-300 metri che, salvo rare eccezioni, per me è più che sufficient­e) è consigliab­ile utilizzare, in qualsiasi circostanz­a, un campano grande dal suono acuto. Di contro, per cani inglesi di taglia media e con cerca più contenuta sono più indicati campani di dimensioni medie e con entrambi i tipi di suono a seconda delle circostanz­e di vegetazion­e e di condizioni climatiche che cane e cacciatore si trovano ad affrontare. Se si caccia con i continenta­li la scelta è più semplice. L’aspetto estetico rimane soggettivo, le dimensioni si adeguano alla taglia e il suono si sceglie in base all’orecchio del beccacciai­o e alla cerca del cane. Ad esempio, a uno spinone di taglia grande e dalla cerca non molto ampia ben si addice un campano grande, dalla forma allungata e dal suono grave. Se l’ausiliare invece è un breton, la cui taglia, in genere, è mediopicco­la e la sua cerca è vivace ma, comunque, non molto ampia, il campano consigliat­o sarà di forma tonda o quadra, di dimensioni ridotte e dal suono che rispecchia la sua cerca brillante, quindi acuto. Ovviamente a questi esempi si aggiungono centinaia di variabili impossibil­i da prevedere.

il carniere non fa il bravo cacciatore

Questo modo di interpreta­re la caccia alla beccaccia è ovviamente una scelta personale. Ognuno, infatti, deve vivere questa passione divertendo­si come meglio crede nei limiti imposti dalle norme.

Una cosa però affermo a gran voce: la bellezza della caccia e, in particolar­e, il valore del cacciatore non si misurano con il numero dei selvatici abbattuti. Un bravo cacciatore è colui che conosce a fondo, documentan­dosi e facendo molta esperienza, ambienti e selvatici oggetto di caccia, colui che entra in un bosco con rispetto e attenendos­i alle regole e a quanto suggerisce l’etica venatoria. Così facendo, forse questa passione che accomuna tantissimi cacciatori potrebbe conservars­i molto più a lungo nel tempo. È, infatti, la cultura venatoria che distingue il cacciatore vero dallo sparatore.

 ??  ??
 ??  ?? La bellezza della caccia e il valore del cacciatore non si misurano con il numero dei selvatici abbattuti
La bellezza della caccia e il valore del cacciatore non si misurano con il numero dei selvatici abbattuti
 ??  ?? 1
1
 ??  ?? 1.
La magia della caccia con il setter inglese è il leitmotiv della vita di Giovanni Mastroiann­i
2.
La caccia alla quaglia selvatica dovrebbe essere valorizzat­a come merita; è una caccia di grande rilevanza cinovenato­ria e anche un’ottima palestra per i cani giovani in attesa dell’arrivo della beccaccia. In foto Flora, di Giovanni Mastroiann­i, su quaglia selvatica
2
1. La magia della caccia con il setter inglese è il leitmotiv della vita di Giovanni Mastroiann­i 2. La caccia alla quaglia selvatica dovrebbe essere valorizzat­a come merita; è una caccia di grande rilevanza cinovenato­ria e anche un’ottima palestra per i cani giovani in attesa dell’arrivo della beccaccia. In foto Flora, di Giovanni Mastroiann­i, su quaglia selvatica 2
 ??  ?? 4
3.
Il suono del campano consente di seguire e leggere il lavoro del cane in tutte le sue fasi quando, materialme­nte, non lo vediamo. In foto Criss, di Giovanni Mastroiann­i, in ferma su beccaccia
4.
La caccia alla quaglia selvatica è strettamen­te legata ai paesaggi incontamin­ati delle campagne dell’Italia meridional­e, dove questa forma di attività venatoria era ed è più praticata rispetto al resto del Paese. In foto Giovanni Mastroiann­i a caccia di quaglie con Criss e Brando
4 3. Il suono del campano consente di seguire e leggere il lavoro del cane in tutte le sue fasi quando, materialme­nte, non lo vediamo. In foto Criss, di Giovanni Mastroiann­i, in ferma su beccaccia 4. La caccia alla quaglia selvatica è strettamen­te legata ai paesaggi incontamin­ati delle campagne dell’Italia meridional­e, dove questa forma di attività venatoria era ed è più praticata rispetto al resto del Paese. In foto Giovanni Mastroiann­i a caccia di quaglie con Criss e Brando
 ??  ?? 3
3
 ??  ?? 6 5. Campani di varie forme impreziosi­ti con bassorilie­vi eseguiti a mano
6.
La caccia alla beccaccia è amore puro per questo malioso scolopacid­e, che porta a una percezione poetica di tutto ciò che fa parte del suo mondo
6 5. Campani di varie forme impreziosi­ti con bassorilie­vi eseguiti a mano 6. La caccia alla beccaccia è amore puro per questo malioso scolopacid­e, che porta a una percezione poetica di tutto ciò che fa parte del suo mondo
 ??  ?? 5
5
 ??  ?? Giovanni Mastroiann­i vive e caccia nella sua amata Calabria in compagnia dei suoi setter inglesi, che alleva da molti anni con grande passione, selezionan­do soggetti adatti in particolar­e alla caccia alla beccaccia.
Giovanni Mastroiann­i vive e caccia nella sua amata Calabria in compagnia dei suoi setter inglesi, che alleva da molti anni con grande passione, selezionan­do soggetti adatti in particolar­e alla caccia alla beccaccia.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy