Gli impatti dell'agricoltura intensiva
L’allodola è specie prettamente terricola, come ben attesta lo stesso adattamento della conformazione delle sue zampe. Ciò significa che non si posa mai sugli alberi, mentre può accadere - molto raramente - che si posi su supporti come pali di recinzioni o staccionate. Questo grazioso volatile necessita pertanto di ampi spazi aperti nel corso della sua intera esistenza, dall’epoca riproduttiva con la deposizione e cova delle uova e l’accudimento dei pulcini, fino al periodo della migrazione autunnale e dello svernamento, al quale farà seguito il ripasso e poi la ripartenza di un nuovo ciclo.
L’allodola è legata specificamente ai terreni agricoli o alle praterie e steppe naturali che però, in Europa occidentale, sono divenute rare. Le distese pascolive infatti, pure abbondantemente presenti in diversi Paesi, sono quasi totalmente funzionali alla pratica dell’allevamento del bestiame, sia che si trovi allo stato brado come in svariati dipartimenti francesi, sia nel caso in cui venga stabulato nelle stalle, come avviene largamente in Italia. Comunque vada, anche i pascoli e i prati stabili collegati al bestiame sarebbero ottimali per l’allodola, salvo per il fatto che il sottoporli a lavorazioni agronomiche intensive e frequenti risulta molto impattante soprattutto durante la nidificazione. La distruzione dei nidi, con uova o pulli, è uno degli accadimenti di maggior impatto negativo sullo status delle popolazioni di questa specie e può avvenire anche con la raccolta delle messi cerealicole, soprattutto di frumento e orzo, che si trebbiano tra giugno e luglio, cioè in piena riproduzione. Così come sono molto negative le conseguenze della lotta agli insetti con utilizzo di sostanze di sintesi. L’allodola è specie prevalentemente insettivora, quindi è di elementare comprensione quanto possa essere impattante sulla specie lo sterminio della sua principale fonte di alimentazione. Un destino che accomuna l’allodola a molte altre specie di avifauna legate agli ambienti coltivati, che infatti risultano in buona parte in difficoltà (benché non cacciabili nella loro quasi totalità). Ecco perché nei singoli piani di gestione europei o nazionali per le varie specie si deve trattare del vitale ruolo della gestione ambientale e territoriale, mattone di base senza il quale ogni altro intervento - compresa la sospensione o il divieto dell’attività venatoria, ove consentita - non avrà alcuna speranza di successo. Sempreché, poi, si riesca a tramutare la teoria della carta scritta nella pratica degli interventi sul terreno.