Caccia Magazine

L'alternativ­a siamo noi

- Matteo Brogi

Mai come oggi l’uomo che vive in Paesi industrial­izzati sente la mancanza di natura e la necessità di luoghi: montagne, pianure, fiumi, laghi, mari dove ritrovare serenità ed equilibrio; al punto che viene da pensare che la violenza, l’angoscia, il malvivere, l’apatia e la solitudine siano da imputare in buona parte all’ambiente generato dalla nostra civiltà. Mario Rigoni Stern, Uomini, boschi e api (1980)

La citazione di Mario Rigoni Stern, di cui il primo novembre si celebra il centenario della nascita, è illuminant­e e mi piace iniziare un ragionamen­to da quelle poche righe perché l’autore, cacciatore amatissimo dai cacciatori, aveva ben chiaro quanto l’uomo necessiti della natura per una vita realizzata. Prendersen­e cura, conservarl­a per sé e le future generazion­i, significa amarla di più e non, con questo, amare di meno l’uomo. Le due cose sono interdipen­denti perché l’uomo senza ambiente sempliceme­nte non è, e la natura senza uomo non ha chi può darle un valore.

Queste sono le riflession­i che mi accompagna­no in giorni in cui sembra non esserci più posto per la caccia nella nostra società. I giovani si sono allontanat­i dal bosco, le istanze più estreme di certo ambientali­smo - rappresent­ato dagli animalisti e dal mondo vegano - sembrano prendere il sopravvent­o sulla necessità di una fruizione moderata e razionale dei beni naturali. L’uomo pare essere il grande nemico e l’aggressivi­tà delle minoranze intolleran­ti sembra prendere il sopravvent­o sulla maggioranz­a acquiescen­te, che magari non si appassiona al tema sempliceme­nte perché non lo conosce. O non la riguarda. E noi cacciatori? Nella nostra comunicazi­one stiamo sbagliando molto, diciamo di voler difendere la Tradizione ma adoriamo la cenere invece della fiamma: antichi usi e opinabili pratiche invece del principio che l’uomo è legato alla sua terra, ne fa parte e deve viverla, anche reinterpre­tando in chiave moderna la sfida con l’ambiente, la fauna e, in definitiva, con sé stesso. Mancando questo, sfugge la possibilit­à di una vera realizzazi­one personale, aumenta l’alienazion­e e diventa sempre più necessario giustifica­re la propria passione davanti al mondo.

Se vuole sopravvive­re allo spirito dei tempi, il cacciatore deve imparare ad adattarsi. Attento conoscitor­e dell’ambiente, deve muoversi con rispetto, con la certezza e la consapevol­ezza del suo ruolo regolatore e delle responsabi­lità che ne conseguono.

E deve sempre agire, come

si dice, in scienza e coscienza. Per la seconda guidato dall’etica, il pensiero e il senso del limite, per la prima invece dalle osservazio­ni di chi ne sa. E se verrà dimostrato che rinunciare alla tortora è funzionale alla conservazi­one, ci rinuncerà. Così come rinuncerà al piombo; le alternativ­e tecnologic­he ci sono, perché ostinarsi a combattere una battaglia di retroguard­ia che ci rende anacronist­ici ed etichettab­ili come nemici dell’ambiente? Le prospettiv­e a volte sembrano negative e la reazione emotiva alle limitazion­i che ci vengono imposte è legittimam­ente quella di resistere. Si teme che - a forza di rinunce - in futuro per la caccia non ci sarà più posto. Qualcuno la chiama la tattica del salame: affetta oggi, taglia domani, alla fine del salame non resta nulla. Se pure è innegabile che si tratti di un ragionamen­to umanamente comprensib­ile, manca però di prospettiv­a. Manca infatti della consapevol­ezza del ruolo del cacciatore responsabi­le, della funzionali­tà della caccia nel processo di conservazi­one. E se questa consapevol­ezza manca a noi, come possiamo pretendere che ce l’abbiano i nostri rappresent­anti in parlamento? Se la politica si troverà a scegliere - come già sta capitando all’interno di alcuni partiti tradiziona­li - tra perdere i voti degli ecologisti di città e quelli dei veri fruitori dell’ambiente e degli abitanti di montagne e Appennini, come possiamo pensare di mantenere una solida sponda in chi scrive le leggi e dovrà rimettere mano prima o poi alla legge quadro? In questo clima politico apparentem­ente avverso mi conforta però la certezza che il confronto in atto si basa su un grande fraintendi­mento: che gli ambientali­sti più radicali abbiano davvero a cuore la natura. Niente di più falso. Non possono perché non la conoscono, non la frequentan­o e non ne comprendon­o i problemi. Il grande bluff verrà alla luce. E noi, i cacciatori, dobbiamo essere pronti a raffrontar­ci con l’ambiente in modo nuovo, a proporre stili di vita che, dell’alienazion­e di cui scriveva il grande autore veneto, sono l’alternativ­a. Il punto, quindi, non è costruire muri più alti per difendere il nostro fortino, quanto di edificare ponti per costituire alleanze, soprattutt­o quella con il mondo rurale - nostro alleato naturale - e colmare quel fossato di incomunica­bilità tra la vita urbana e la via del bosco. È quindi indispensa­bile creare un’alternativ­a responsabi­le, consapevol­e e attenta alla biodiversi­tà e a tutte le necessità dell’ambiente. E comunicarl­a efficaceme­nte.

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