Segno della società
Il mondo racconta le armi tanto quanto le armi raccontano il mondo: sulla base di un convegno del 2019, il saggio di Tommaso di Carpegna Falconieri e Salvatore Ritrovato analizza questo doppio rapporto
Se davvero Dio o chi per lui ha creato il mondo parlando, e Adamo o chi per lui l’ha dominato nominando, la discussione finisce subito: è impossibile negare il potere assoluto della lingua e del linguaggio. Raccontare non è mai un’operazione neutra: dietro la costruzione di ogni frase, dietro ogni parola selezionata c’è un’immagine del mondo che a un interlocutore attento risulta più potente persino del contenuto. Tommaso di Carpegna Falconieri e Salvatore Ritrovato, docenti di storia medievale e letteratura italiana all’Università di Urbino, applicano questa griglia a un quadrante specifico: da
Il racconto delle armi, raccolta di saggi a più voci basata su un convegno del maggio 2019, emerge il rapporto dialettico tra armi e mondo. Perché il mondo racconta le armi, dallo scudo di Achille alla P-38, le descrive e le rappresenta; ma le armi raccontano il mondo con un’accuratezza tale che viene da credere che siano uno degli strumenti principali per interpretarlo. Si pensi alla definizione “nobiltà di spada” usata nella Francia del Cinquecento e simbolo insieme di status e di articolazione sociale (Giulio Sodano); si pensi al grande affresco ariostesco e all’idea che nel sistema cavalleresco l’arma da fuoco e chi la impugna siano inganno e ingannatore, la dissoluzione del codice e dell’onore (Annalisa Giulietti). “Il primo a utilizzarla” si legge “diventa non solo astuto nel praticare il male, ma capostipite di un’iniqua schiatta: traditore dell’intera umanità”.
E infatti Orlando getterà l’archibugio in fondo al mare da cui però dopo un secolo verrà tratto da un negromante (“figura letteraria del frate tedesco Berthold Schwarz, al quale si attribuì per lungo tempo l’invenzione della polvere da cannone”) che la consegnerà ai principi tedeschi.
alla ricerca dell'individualità
Per evitare che la transizione dell’arma bianca all’arma da fuoco induca a una spersonalizzazione devastante, diventa necessario guardare il nemico negli occhi: ed è curioso che a imporlo sia la cultura nordamericana, innanzitutto cinematografica, di per sé immune dalla tradizione aristocratica europea; e tuttavia l’America è “permeata dal mito dell’eroe cavaliere, magari reinterpretato nella figura del pistolero solitario”. Epica della contemporaneità, il cinema ha un ruolo centrale nel raccontare le armi e con loro il divenire del mondo: nella sequenza iniziale di 2001: Odissea nello spazio, l’osso che nella mano della scimmia diventa arma e poi astronave, Kubrick dice senza troppe perifrasi che il processo di civilizzazione e lo sviluppo tecnologico si avviano nel momento in cui si stabiliscono i rapporti di forza, la vita, la morte (Antonio Tricomi). La volontà di potenza della scimmia che con un’arma primitiva si fa re uccidendo il rivale è la stessa volontà di potenza di Hal 9000, supercomputer che nel momento in cui si sente discusso usa tutte le proprie armi per difendersi e ribadirsi superiore. E poi per essere convinti ad aprire Il racconto delle armi dev ’essere sufficiente l’intervento che lo introduce: lo firma infatti Alessandro Barbero che, al netto di qualche recente uscita pubblica un po’ azzardata, è un medievista di pregio e un divulgatore strepitoso (consiglio di chi per sopravvivere a una vita professionale intensa si è dovuto drogare di podcast: sentite una delle sue lezioni, ne sentirete un centinaio). In dieci pagine densissime Barbero spiega che la premonizione dell’ambiguità, “per non dire schizofrenia, con cui la civiltà odierna guarda alle armi è la sanzione sull’arco e la balestra, soprattutto in guerra”; e il dissidio esplode nel momento in cui compaiono le armi da fuoco, contro le quali “si scagliano violente invettive nel momento stesso in cui tutti le usano con entusiasmo”. L’arma da fuoco smette di essere un personaggio nel modo in cui lo furono le spade medievali, un nome e un potere. Nella contemporaneità l’individualizzazione (anzi: “l’umanizzazione”) avviene in serie: perché “ogni singola arma è anonima e intercambiabile”, ma il modello acquisisce personalità autonoma.
È il dilemma eterno dell’autenticità di un’opera eternamente riproducibile, gorgo profondo della contemporaneità.
Il racconto delle armi è pubblicato con il sostegno di Conarmi, Fair e Sabatti.