Intervista a carlo Ferlito, direttore generale di Fabbrica d'Armi Pietro Beretta S.p.A.
Con la BRX1 Beretta fa il suo ingresso in un nuovo segmento di mercato e lo fa con un prodotto per certi aspetti dirompente. Come nasce l’idea di questa sfida e perché una straight-pull? La strategia del gruppo Beretta è evidente sin dal 2000 - risponde Carlo Ferlito, direttore generale di Fabbrica d’Armi Pietro Beretta S.p.A. - con l’acquisto di Sako ed è quella di fornire la più completa offerta possibile anche in settori che all’epoca non erano presidiati. In questi anni di analisi di mercato si è vista una crescita continua nel settore della caccia agli ungulati. Abbiamo portato Sako da una produzione di 7.000 pezzi per anno a 110.000 e abbiamo verificato che c’è ancora spazio. Ci siamo quindi confrontati con tutte le aziende del gruppo e ciascuno ha accettato la sfida; Beretta, in paerticolare, ha pensato di entrare nel settore facendo leva su una delle sue expertise riconosciute, il mondo militare. Abbiamo così teso a realizzare qualcosa di diverso e particolare e abbiamo visto nello schema dell’azione lineare una soluzione che corrisponde alla nostra idea di carabina: un’arma moderna, veloce, affidabile e precisa, che può dare un vantaggio al cacciatore. Si tratta di una scelta di totale assenza di comfort concettuale, abbiamo messo il nostro team sotto stress ma siamo riusciti a fare qualcosa di davvero differente sfruttando il sistema a testina rotante mutuato dalle armi militari; con esso, possiamo garantire l’affidabilità e la resistenza tipiche dei fucili d’assalto.
Si tratta di un progetto complesso che combina numerose raffinatezze progettuali a un prezzo concorrenziale. La sensazione è che in Beretta non vi siate risparmiati.
Così è. Si prenda il caso dell’otturatore della BRX1: ci vogliono 86 minuti di lavorazione per produrlo. In azienda non esiste un pezzo altrettanto complesso da realizzare e la complessità è legata al fatto che non abbiamo voluto ricorrere ad alcuna semplificazione. Non abbiamo lesinato né nelle materie prime né sui macchinari che intervengono e questo conduce a un’industrializzazione spinta che porta a pezzi sostituibili e intercambiabili tra loro. Questo è il reale vantaggio economico.
Per anni si è parlato della carabina su cui Beretta stava lavorando e le voci convergevano proprio sul progetto straight-pull. L’acquisizione di Chapuis, marchio rinomato proprio per la sua azione lineare, aveva fatto pensare a un cambio di rotta. Di punti di contatto con l’arma francese però non ce ne sono.
La nostra strategia è stata di fare una carabina Beretta. Che sia una straightpull non è particolarmente significativo; la nostra intenzione era di andare a prendere un cacciatore attento a certi valori con un posizionamento di prezzo coerente con il nostro brand. Non abbiamo voluto fare qualcosa già pensato da altri che costasse di meno, piuttosto perseguire un progetto ambizioso ma raggiungibile, alla portata di tutti. Sfruttando i nostri punti di forza, il nostro know how concettuale e tecnologico. Questo lancio coincide tra l’altro con l’assunzione di 120 nuove maestranze.
Quali sono le aspettative che riponete nella BRX1?
Ci aspettiamo di lavorarci ancora per molti anni; quello della carabina è un mondo che richiede sempre nuovi calibri e varianti e continueremo a sviluppare la piattaforma nel corso del tempo. Mi aspetto una posizione significativa sui principali mercati, la mia sfida personale è portare e vendere la BRX1 anche negli Stati Uniti. È un progetto ambizioso, c’è tanto lavoro da fare ma so di poter contare su una grande squadra.
Come immagina il profilo del cacciatore potenzialmente interessato alla carabina Beretta?
Immagino un cacciatore curioso, che vuole provare qualcosa di diverso, un’esperienza nuova, più tecnologica, che intende utilizzare il prodotto in maniera rude. E magari abbia la possibilità di divertirsi in poligono per esempio nelle gare di cinghiale corrente, a caccia chiusa. La BRX1 è uno strumento sofisticato che può intrigare tanti tra coloro puramente appassionati alla meccanica. Il nostro sforzo principale è stato quello di metterlo a disposizione della più ampia platea possibile.
te un’unghia che va a impegnare la parte posteriore della slitta per darle rigidità ed evitare flessioni quando sia montata un’ottica pesante.
dal metallo al polimero
La calciatura della carabina Beretta è realizzata in polimero di colore nero. La pala porta un calciolo Extralight; combinando calcioli di differente lunghezza e distanziatori da 12,5 o 25 millimetri è possibile variare la lop tra gli estremi di 350 e 390 millimetri. All’interno dell’astina, l’azione è alloggiata tramite una lunga culla a V, bloccata da due viti e un tassello d’acciaio; una soluzione che contribuisce alla rapida sostituzione della canna mantenendo il corretto punto d’impatto. L’accoppiamento prevede una lunga area di contatto che garantisce comunque un’architettura a canna flottante.
In polimero è anche il caricatore, bifilare, che contiene cinque colpi in tutti i calibri e risulta perfettamente a filo dell’astina, contribuendo alla gradevolezza del disegno. È di color arancio fluo così da risultare facilmente individuabile sia nello zaino sia quando inserito in posizione; lo sgancio è consentito da due pulsanti simmetrici che vanno premuti contemporaneamente così da evitare distacchi accidentali durante l’azione di caccia. Al momento è disponibile in tre misure per altrettanti gruppi di calibri.
Quanto alle finiture, tutte le parti in acciaio della BRX1 sono brunite; alcuni componenti interni sono fosfatati mentre per il receiver si è scelto un trattamento di ossidazione dura. L’offerta della BRX1 include un’ampia gamma di accessori che spaziano da quelli funzionali come il freno di bocca a cinghie di trasporto, chiavi dinamometriche, impugnature e calcioli.
un test vero
Ho provato la straight-pull di Beretta in due circostanze. Inizialmente in occasione dell’evento di presentazione alla stampa, a fine agosto, quando ho potuto sparare in
poligono presso il Tav Cieli aperti di Cologno al Serio (Bg), in appoggio fino alla distanza di 300 metri e al cinghiale corrente; la rosata che pubblico a corredo dell’articolo (di 7 millimetri) è stata ottenuta a 100 metri in quella circostanza con l’arma in .300 WM. A distanza di circa un mese ho ripetuto i test al campo di tiro Due nel mirino e presso l’Aatv Cavaglià, in Piemonte, con l’arma in .30-06 S in assegnazione al product manager Ricardo Olivieri; si tratta di un’arma con alle spalle svariate centinaia di colpi ma che non ha affatto sfigurato nonostante abbia manifestato, in termini di precisione, un rendimento lievemente inferiore rispetto al .300 WM.
Dei test piemontesi do evidenza a seguire. Nell’occasione ho provato dieci caricamenti differenti di cui ho riportato quattro tra i migliori. Successivamente sono uscito a caccia, in altana, dove ho prelevato un cinghiale di 75 chilogrammi all’imbrunire, a 51 metri. Il corretto piazzamento del colpo ha permesso che cadesse, come si dice, sull’ombra. Se questa è la testimonianza oggettiva della funzionalità dell’arma, voglio sottolineare come mi sia piaciuta sotto più aspetti difficili da restituire dai semplici numeri. Parto dal bilanciamento, che risulta corretto: la parte preponderante della massa cade tra le mani dell’utilizzatore; la corretta disposizione delle masse fa sì che l’arma rilevi poco anche nel caso si spari in piedi e senza appoggio. Al di là della precisione, ineccepibile nell’ambito delle distanze etiche (i 300 metri del poligono), ho apprezzato la sicurezza intrinseca del sistema. Le otto alette, gli studi, le simulazioni, gli stress test che l’azienda ha condotto preliminarmente alla presentazione del prodotto sono un bonus in grado di garantire quella sicurezza psicologica indispensabile per fare di un’arma la propria compagna di caccia.