Vento e caccia: i detti tosco-romagnoli
Per un breve excursus linguistico-culturale sull’intreccio fra venti e caccia, tra i molti territori del nostro Belpaese,, abbiamo scelto la Toscana e la Romagna; un po’ perché sono fra le culle della caccia alla migratoria, un po’ perché sono pressoché contrapposte e hanno tutto, dal piano ai monti, con affaccio sul Tirreno l’una e sull’Adriatico l’altra, godendo perciò di tutti i venti che spirano al centro del Mediterraneo e che, dunque, influenzano le migrazioni degli uccelli. Durante le epoche, si sono sedimentati nel gergo venatorio tosco-romagnolo alcuni detti molto felici che sottolineano il legame positivo o negativo (dal punto di vista del cacciatore, s’intende) tra vento e migratori. Vediamone alcuni, cominciando dalla Toscana. Se facciamo riferimento a venti favorevoli al passo e pertanto al cacciatore, ecco il classico “tramontana, uccelli in Toscana”, che conferma quanto è notissimo, cioè che i venti da nord e da est sono i più attesi da parte degli appassionati. Come ci conferma anche “dopo il ponente, la tramontana si risente”, allorché le speranze si rinvigoriscono se al vento da ovest (libeccio e ponente, sfavorevoli) fa seguito immediato la tramontana. Speranze che, invece, sono frustrate dai venti meridionali e occidentali: “scirocco e ponente, uccelli niente” e “maestrale, stai meglio al casale”. Anche perché, esposta a occidente, la Toscana riceve da quella direzione le piogge più abbondanti, in autunno soprattutto, sospinte dai venti atlantici oppure da nordovest, che incanalano aria polare attraverso la Francia e infine sul mare nostrum. Ricordiamoci pure che in autunno i migratori giungono in Italia prevalentemente dai quartieri riproduttivi situati a est-nordest del continente e che, dunque, i venti occidentali risultano contrari alla direzione di volo, oltre a portare piogge magari abbondanti, anch’esse di ostacolo alla migrazione.
E in Romagna, cosa sentenziano? Il massimo: “galaverna e tramontana, fai di uccelli una battana”, ove battana è il barchino di valle, che conferma l’importanza dei venti da nord che spazzano i cieli portando il freddo, anzi il gelo, che dà luogo alla formazione della galaverna. In senso buono, ma solo per alcune specie, abbiamo “maestrale e pioggia fine, pivieri e fline, cioè pavoncelle. Quindi, un vento e un meteo favorevoli agli arrivi dei soli limicoli. Infine, ricorrendo alla potenza del dialetto, un cenno al vento nemico per eccellenza delle migrazioni e dunque, anche dei cacciatori, ecco “la curinaza l’ann è bona né da pesca, né da caza”. Che tradotto (senza Google perché non ci arriva) significa lo scirocco non è buono né per la pesca, né per la caccia. Il vento meridionale, caldo e carico di umidità avversa il volo dei migratori e pertanto consiglia al saggio appassionato di tralasciare pesca e caccia per altre occupazioni.
Concludiamo con due detti per certi versi analoghi. Il primo, di utilizzo invernale nella laguna di Orbetello, recita “ventaccioni, codoni e fischioni”. Il secondo, in uso nelle valli romagnole, dice “quand che tira bura, usel a zugh ma stè in tinela la j è dura”, ossia “quando tira la bora, uccelli al gioco ma restare in botte è dura”. Bellissimi entrambi, altro non c’è da aggiungere.