Sette Termini: a caccia dai laghi ai monti
All’inizio del 2000, nel territorio della provincia di Varese si iniziano a organizzare le prime squadre di caccia al cinghiale. A Montegrino Valtravaglia nasce la Sette Termini, che sotto la guida di esperti capicaccia ottiene ottimi risultati e grandi soddisfazioni. La particolarità risiede nell’utilizzo di mute di podenchi
Varese è un Comune di quasi 80.000 abitanti, chiamato con il caratteristico appellativo di città giardino per i suoi numerosi parchi. La provincia varesina si estende su una superficie di circa 1.200 km² e confina a nord-est con il Canton Ticino in Svizzera, a est con la provincia di Como, a sud con la provincia di Milano e a ovest con il fiume Ticino e con il lago Maggiore, che la separano dal Piemonte. Il suo territorio, bagnato da numerosi corsi d’acqua e interessato dal lago di Varese, è tipico prealpino, perlopiù pianeggiante (22%) e collinare (46%), con vette che non superano i mille metri di altezza (la porzione montana occupa il 32% del territorio), dalle quali si gode di viste spettacolari sui laghi Maggiore e Ceresio (Lugano), verso sud sulla Valganna e Campo dei Fiori; poi salendo con lo sguardo verso ovest ecco il monte Nudo, San Martino, San Michele e quindi, dietro il lago, le Alpi, su cui domina il monte Rosa. La vegetazione è molto varia, formata in prevalenza da castagni, faggi, querce, robinie, e caratteristiche pinete che purtroppo negli ultimi anni, a causa della processionaria e di altri parassiti, stanno scomparendo.
Nel 1999, dopo tre anni passati a
debellare la peste suina e mentre il nuovo piano faunistico venatorio provinciale ridisegnava e diminuiva il numero degli Ambiti territoriali di caccia, nasceva, dalla divisione della squadra unica presente nell’allora Atc Varese 4, la squadra di caccia al cinghiale Sette Termini. La zona di caccia costeggia il fiume Tresa e il relativo confine svizzero da Ponte Tresa fino a Luino, per poi prendere la strada statale che sale passando per Mesenzana, Grantola, Cunardo fino a Ghirla e ridiscendere a Ponte Tresa. Montegrino Valtravaglia, arroccato sulle pendici occidentali del monte Sette Termini, sulla valle attraversata dal corso inferiore del torrente Margorabbia, è il Comune di riferimento della squadra. Il nome dell’abitato di Montegrino fa riferimento alla vegetazione: il suo significato deriva dall’antico monte Agarino, cioè monte degli aceri, mentre il nome Sette Termini
deriva dal fatto che sulla sommità del monte erano poste sette pietre che indicavano i confini convergenti di altrettanti comuni. Addentrandosi nei boschi, si possono ancora scorgere gallerie, trincee e fortificazioni che risalgono al 1917 e appartengono alla cosiddetta Linea Cadorna, costruita per fronteggiare il pericolo di invasioni nemiche dalla Svizzera.
Tutto è cominciato nei primi anni Ottanta
«Il primo caposquadra della Sette Termini è stato Emilio Parini» inizia a raccontare Giovanni Bianchi, già capocaccia per un settennio «un cacciatore che praticava la caccia alla lepre, ma che è stato l’artefice e il primo a credere in quella al cinghiale nella nostra zona già nei primi anni Ottanta, quando le presenze erano ancora sporadiche e non esistevano regolamenti che stabilissero i criteri della braccata; anzi, la Provincia non ne riconosceva nemmeno la presenza. Mi ricordo che una volta, in quegli anni, noi del paese, con altri cacciatori più esperti, stavamo facendo una battuta (senza capirci troppo) ed eravamo tutti schierati in attesa, senza molta convinzione, della bestia nera. A un certo punto un cacciatore, che noi non conoscevamo, abbatté due cinghiali, arrivò una macchina e gli animali furono caricati. Stupiti, chiedemmo spiegazioni e scoprimmo che facevano parte di un’altra squadra, già un po’ più organizzata. Ci domandarono chi fosse il nostro capocaccia e noi, sbalorditi, non sapendo neppure che cosa fosse un capocaccia, rimanemmo basiti. Per fortuna intervenne Emilio, che si autoproclamò capocaccia e investì sul campo Aldo suo vice. A quel punto l’altra squadra, sentendosi spiazzata, decise di dividere con noi i cinghiali abbattuti.
Quando nel 1999 si è formato il gruppo Sette Termini, è stato approvato un regolamento per la caccia al cinghiale in braccata e sono state assegnate le
zone a ciascuna squadra, il titolo di capocaccia era più che giusto che andasse a Emilio Parini. Purtroppo per solo un anno, perché Emilio aveva già grossi problemi di salute e dal 2005 non è più con noi. Ci ha lasciato un ricordo indelebile per la sua grande disponibilità, gentilezza e capacità di aggregazione, perché aveva sempre una buona parola per tutti nel momento giusto. Nel 2000 ho preso in mano io la squadra e l’ho condotta per sette stagioni venatorie».
all'inizio fu Scheggia
Giovanni Bianchi inizialmente preferiva la caccia alla lepre, ma in seguito, con la comparsa dei primi cinghiali, la sua passione si è rivolta verso la braccata. Durante i primi anni è stato un postaiolo, poi nel 1995 una segugia di suo padre si è fatta coprire da un altro cane, di cui non si è mai saputo la razza, e da questo accop
piamento sono nati due cuccioli. «Ho deciso di accontentare mia figlia e ne ho tenuto uno, al quale ho dato il nome Scheggia» continua Giovanni «perché mi ha colpito subito tanto era sveglia e piena di vita. La cagnolina cresceva e manifestava sempre di più una certa predisposizione per la caccia, così decisi di provare le sue doti. La mia inesperienza, sia come canaio sia come cinghialaio, mi faceva propendere sul suo addestramento nella caccia alla lepre. Scheggia era molto brava e imparava subito, ma non disprezzava la ricerca di qualsiasi selvatico capitasse sotto il suo naso e, in particolare, del cinghiale. Con l’aiuto di amici canai e, soprattutto, di Wolfrano Rossi, abbiamo optato per la ricerca della bestia nera, nella quale lei diventava sempre più brava; accompagnandola nella crescita anch’io, a detta dei miei amici cacciatori, sono diventato un buon conduttore di muta da cinghiali. Devo sempre ringraziare anche i canai della squadra con i quali ho condiviso e continuo a condividere questa magnifica esperienza e mi piace ricordare questo aneddoto sulla mia vita da cinghialaio, perché ritengo di essere stato molto fortunato a incontrare Scheggia come mio primo cane. Chissà che cosa avrei fatto se non l’avessi tenuta. I miei anni come caposquadra sono trascorsi tra alti e bassi, ma penso siano stati positivi, avventure ne abbiamo vissute molte; amicizie ne sono passate, alcune si sono perse per strada, ma tante sono rimaste, come per esempio quella con il mio storico vice, Rino Sala».
a caccia con i podenchi
Poi, nel 2007, Giovanni Bianchi è stato avvicendato nella guida della Sette Termini da Claudio Filippozzi, che fin da subito ha dimostrato di essere un ottimo cacciatore, un buon canaio e un profondo conoscitore del cinghiale. A lui va il merito di aver portato ancora più slancio nella squadra e aver stabilizzato gli abbattimenti costantemente intorno alle tre cifre. Dopo 14 anni, da questa stagione venatoria ha chiesto di passare la mano, cedendo il suo posto, dopo regolare elezione dei cacciatori, a Fortunato Sgarlata.
Tutte le squadre dell’ambito territoriale Varese 1 devono rispettare il regolamento provinciale che assegna una zona specifica a ognuna e per tutta l’annata venatoria dovranno cacciare solamente in quella. Ogni squadra può essere formata da un minimo di venti a un massimo di cento cacciatori iscritti all’Atc 1; può anche accogliere una decina di cacciatori esterni.
Nella Sette Termini 12 canai conducono diverse razze di cani, ma la prevalente è il podenco. Nella braccata è raro trovare questa
razza molto antica, che si pensa derivi da esemplari presenti già all’epoca degli antichi egizi, ma la squadra si affida e confida in loro perché sono molto abili nello scovare i cinghiali, grazie all’olfatto acutissimo e al talento straordinario per l’attività venatoria. La muta più numerosa, sei soggetti ai quali si è aggiunto anche un maremmano, è di Claudio Filippozzi. Completano la squadra Roberto Solazzi, Giorgio Macchi, Paolo Medri, Flavio Carretti, Fabio Mazzucato, Roberto Marzetta e Giannino Morello. Cristian Radice e Fortunato Sgarlata hanno i kopov, Angelo Faccoli un maremmano e Giovanni Bianchi tre segugi italiani. «Ogni canaio provvede al mantenimento dei propri ausiliari, in caso di ferimento dei cani la squadra contribuisce economicamente alle spese veterinarie» precisano i canai. «Negli ultimi anni gli incidenti in cui sono coinvolti i cani sono molto aumentati; in parte il motivo è dovuto all’incremento del numero di cinghiali che, per la quasi totalità, tengono il fermo e spesso caricano i cani. I nostri podenchi sono agili e slanciati, con un’ossatura solida e una grande forza fisica; il loro udito e il loro fiuto sono eccezionali, e hanno grande resistenza nell’inseguire gli ungulati. Nella Sette Termini gli ausiliari costituiscono l’ossatura e il patrimonio indispensabile della squadra, sono i veri artefici delle nostre giornate trascorse alla ricerca della bestia nera e, grazie alla loro abnegazione e abilità, e alla nostra passione, tutta la squadra ne trae beneficio e molta soddisfazione.
Siamo impegnati tutto l’anno, e non solo durante la stagione venatoria, nella cura, nell’allevamento e nel mantenimento dei cani, per instaurare un rapporto di fiducia tra noi e loro».
anche quote rosa
Fa parte della squadra anche una ragazza, Debora Corradin, che, insieme al padre, partecipa alle battute. «La mia passione per la caccia al cinghiale» dice «è nata un po’ per scherzo. Avevo avuto il mio secondo figlio da poco più di un anno ed ero molto stressata. Mio padre mi ha chiesto se mi andava di uscire a caccia con lui, come quando ero piccola, e ho accettato. Da quel giorno la mia passione è aumentata sempre più e ho iniziato a praticare la caccia al cinghiale. Sono stata accolta molto bene, i miei compagni sono tutti disponibili e gentili nei miei confronti, e mi trattano come una di loro, senza alcuna differenza. A mio parere, andare a caccia vuol dire essere immersi nella natura a 360 gradi e, soprattutto in battuta, si alternano emozioni indicibili: dalla pace interiore nel momento in cui mi trovo da sola nel bosco alla trepidazione all’avvicinarsi del cinghiale e, infine, all’euforia dell’abbattimento o alla frustrazione quando si sbaglia l’animale».
La gestione economica della squadra è affidata allo storico segretario Giuseppe Passerà: la quota annuale versata da ogni cacciatore verrà poi utilizzata per pagare la scuoiatura e l’eviscerazione dei cinghiali, effettuata presso uno dei due centri di raccolta presenti nell’ambito territoriale; lì un veterinario preleva i diaframmi per gli esami preventivi di controllo. Alla lavorazione delle carcasse e alla preparazione delle carni ci pensano Giorgio, Giuseppe, Paolo, Rino, Aldo, Serafino, Antonio, Remo e Angelo, persone sulle quali la squadra può sempre contare per la loro costante presenza.
A caccia chiusa la Sette Termini si è sempre distinta per la sua partecipazione a una serie di attività quali la posa e la manutenzione di recinti elettrificati per la salvaguardia delle colture agricole e la pulizia di chilometri di strade tagliafuoco e di sentieri; ha anche contribuito alla pulizia delle trincee della Linea Cadorna, nell’ambito dell’iniziativa Ricordare per non dimenticare.