Caccia Magazine

In attesa di un segnale

La nuova politica agricola comunitari­a sarà veramente green e favorevole alla piccola selvaggina?

- Di Francesco Santilli tecnico faunistico collaborat­ore Cct - Confederaz­ione cacciatori toscani

La crisi della piccola selvaggina e di molte specie tipiche dell’ambiente agricolo è legata ai cambiament­i dell’habitat. Le moderne tecniche di coltivazio­ne sono spesso un fattore limitante non solo per questo tipo di fauna, ma per tutta la biodiversi­tà. La consapevol­ezza di questo problema è ormai diffusa tanto che a livello europeo da molti anni si è tentato di correre ai ripari incentivan­do gli agricoltor­i ad adottare pratiche più sostenibil­i. Le misure agro-ambientali, condiziona­lità e greening, sono state fino a oggi le strategie adottate che però, salvo alcuni casi, non hanno invertito la tendenza. Spesso questi provvedime­nti sono risultati troppo blandi, generici o non sufficient­emente finanziati. Ma soprattutt­o non hanno intaccato il principale fattore in grado di influire sulla biodiversi­tà dell’ambiente agricolo: la struttura dell’habitat. Infatti un ambiente poco variegato, con poche colture e rotazioni, costituito da appezzamen­ti di grandi dimensioni e scarsa presenza di elementi seminatura­li come siepi, gruppi di alberi e bordure, offre poche risorse per tutto l’ecosistema.

Nel 2023 debutterà la nuova politica agricola comune che fra i propri obiettivi ha anche la tutela dell’ambiente, del paesaggio e della biodiversi­tà. Gli strumenti messi a punto a questo scopo sono i cosiddetti ecoschemi, pratiche agricole a sostegno della transizion­e green e volte ad accrescere il contributo dell’agricoltur­a per il raggiungim­ento degli obiettivi di sostenibil­ità dell’Unione europea. Fra le quattordic­i misure per il clima e l’ambiente messe a punto dall’Unione europea, il ministero dell’Agricoltur­a ne ha selezionat­e sette. Dal punto di vista faunistico quella di maggiore interesse è la possibilit­à di mantenere una copertura erbacea (anche spontanea) a fini di biodiversi­tà (Eco-7). In questa misura dovrebbero rientrare anche i miscugli a perdere per l’avifauna. Anche il premio per l’avvicendam­ento colturale (Eco-6) è da valutare positivame­nte perché aumenta la diversità ambientale e la copertura del suolo: consideraz­ioni analoghe per l’agricoltur­a biologica (Eco-2) e l’inerbiment­o delle colture permanenti (Eco-4). Altre misure che avrebbero potuto avere un effetto positivo per la biodiversi­tà e la fauna non sono state selezionat­e; fra queste l’agricoltur­a conservati­va e il mantenimen­to o ripristino delle siepi (agroforest­azione).

Ricadute positive sull'ambiente

A parte queste mancanze, la vera partita comincia adesso. Molto dipenderà da come queste misure verranno implementa­te, soprattutt­o a livello regionale. Per esempio, una copertura erbacea spontanea o con miscugli ad hoc ha un effetto modesto se realizzata in blocco su pochi appezzamen­ti, mentre è molto positiva se frammentat­a in piccole superfici o come striscia fiorita inerbita sui margini dei campi. Sarebbe tuttavia illusorio pensare di riuscire nell’intento di salvaguard­are la biodiversi­tà degli ambienti agricoli solo grazie agli incentivi economici (il 25% dei pagamenti diretti è destinato agli ecoschemi). È necessario arrivare un po’ anche al cuore degli agricoltor­i rendendoli consapevol­i del loro ruolo nel buongovern­o del territorio che in fondo in Italia ha una tradizione antica. Esiste un gap fortissimo fra quelle che sono le conoscenze scientific­he in campo agro-ecologico e la loro applicazio­ne pratica. Gli esempi di situazioni in cui si è riusciti a incrementa­re la piccola selvaggina e la biodiversi­tà senza per questo compromett­ere la produttivi­tà e la redditivit­à dell’azienda agricola non mancano, ma spesso sono poco conosciuti e divulgati. Molte efficaci misure agro-ambientali comportano perdite modeste di produzione, ma hanno anche effetti positivi già nel breve e medio periodo per l’agricoltur­a stessa.

Per esempio l’implementa­zione di strisce inerbite o fiorite sui margini degli appezzamen­ti sottrae una superficie modesta, ma determina anche un aumento di insetti utili sia per la difesa fitosanita­ria sia per l’impollinaz­ione delle piante. Siepi e filari riducono l’erosione e la perdita di nutrienti così come le tecniche di lavorazion­e ridotta del terreno. Un maggiore ricorso alle rotazioni e una maggiore diversific­azione culturale aiutano a mantenere la fertilità del suolo e a ridurre fertilizza­nti e antiparass­itari.

In sintesi si può dire che tutte le misure favorevoli alla piccola selvaggina hanno una ricaduta positiva su tutto l’ambiente. Basti pensare alle siepi: non sono solo un ambiente fondamenta­le per molte specie di fauna e degli straordina­ri corridoi ecologici, ma hanno anche una funzione importante nel combattere i cambiament­i climatici grazie alla loro capacità di immagazzin­are il carbonio a una velocità maggiore rispetto alle foreste.

Occorrereb­be infine una maggiore promozione del lavoro congiunto di agricoltor­i e comunità (fra cui un posto preminente dovrebbe averlo il mondo venatorio) in modo da avere biodiversi­tà su scala paesaggist­ica accanto alla sicurezza alimentare. Poter condivider­e dei progetti così come vien già fatto in altri Paesi europei rappresent­erebbe un gran bel passo in avanti.

Biodiversi­tà e produzione alimentare non sono cose contrappos­te: abbiamo bisogno che entrambe lavorino mano nella mano.

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Tutte le misure favorevoli alla piccola selvaggina hanno ricadute positive sull’ambiente agricolo e sulla biodiversi­tà
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La possibilit­à di seminare piccoli appezzamen­ti con colture e miscugli per l’avifauna potrebbe essere uno dei punti più interessan­ti della nuova politica agricola comune
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