In attesa di un segnale
La nuova politica agricola comunitaria sarà veramente green e favorevole alla piccola selvaggina?
La crisi della piccola selvaggina e di molte specie tipiche dell’ambiente agricolo è legata ai cambiamenti dell’habitat. Le moderne tecniche di coltivazione sono spesso un fattore limitante non solo per questo tipo di fauna, ma per tutta la biodiversità. La consapevolezza di questo problema è ormai diffusa tanto che a livello europeo da molti anni si è tentato di correre ai ripari incentivando gli agricoltori ad adottare pratiche più sostenibili. Le misure agro-ambientali, condizionalità e greening, sono state fino a oggi le strategie adottate che però, salvo alcuni casi, non hanno invertito la tendenza. Spesso questi provvedimenti sono risultati troppo blandi, generici o non sufficientemente finanziati. Ma soprattutto non hanno intaccato il principale fattore in grado di influire sulla biodiversità dell’ambiente agricolo: la struttura dell’habitat. Infatti un ambiente poco variegato, con poche colture e rotazioni, costituito da appezzamenti di grandi dimensioni e scarsa presenza di elementi seminaturali come siepi, gruppi di alberi e bordure, offre poche risorse per tutto l’ecosistema.
Nel 2023 debutterà la nuova politica agricola comune che fra i propri obiettivi ha anche la tutela dell’ambiente, del paesaggio e della biodiversità. Gli strumenti messi a punto a questo scopo sono i cosiddetti ecoschemi, pratiche agricole a sostegno della transizione green e volte ad accrescere il contributo dell’agricoltura per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità dell’Unione europea. Fra le quattordici misure per il clima e l’ambiente messe a punto dall’Unione europea, il ministero dell’Agricoltura ne ha selezionate sette. Dal punto di vista faunistico quella di maggiore interesse è la possibilità di mantenere una copertura erbacea (anche spontanea) a fini di biodiversità (Eco-7). In questa misura dovrebbero rientrare anche i miscugli a perdere per l’avifauna. Anche il premio per l’avvicendamento colturale (Eco-6) è da valutare positivamente perché aumenta la diversità ambientale e la copertura del suolo: considerazioni analoghe per l’agricoltura biologica (Eco-2) e l’inerbimento delle colture permanenti (Eco-4). Altre misure che avrebbero potuto avere un effetto positivo per la biodiversità e la fauna non sono state selezionate; fra queste l’agricoltura conservativa e il mantenimento o ripristino delle siepi (agroforestazione).
Ricadute positive sull'ambiente
A parte queste mancanze, la vera partita comincia adesso. Molto dipenderà da come queste misure verranno implementate, soprattutto a livello regionale. Per esempio, una copertura erbacea spontanea o con miscugli ad hoc ha un effetto modesto se realizzata in blocco su pochi appezzamenti, mentre è molto positiva se frammentata in piccole superfici o come striscia fiorita inerbita sui margini dei campi. Sarebbe tuttavia illusorio pensare di riuscire nell’intento di salvaguardare la biodiversità degli ambienti agricoli solo grazie agli incentivi economici (il 25% dei pagamenti diretti è destinato agli ecoschemi). È necessario arrivare un po’ anche al cuore degli agricoltori rendendoli consapevoli del loro ruolo nel buongoverno del territorio che in fondo in Italia ha una tradizione antica. Esiste un gap fortissimo fra quelle che sono le conoscenze scientifiche in campo agro-ecologico e la loro applicazione pratica. Gli esempi di situazioni in cui si è riusciti a incrementare la piccola selvaggina e la biodiversità senza per questo compromettere la produttività e la redditività dell’azienda agricola non mancano, ma spesso sono poco conosciuti e divulgati. Molte efficaci misure agro-ambientali comportano perdite modeste di produzione, ma hanno anche effetti positivi già nel breve e medio periodo per l’agricoltura stessa.
Per esempio l’implementazione di strisce inerbite o fiorite sui margini degli appezzamenti sottrae una superficie modesta, ma determina anche un aumento di insetti utili sia per la difesa fitosanitaria sia per l’impollinazione delle piante. Siepi e filari riducono l’erosione e la perdita di nutrienti così come le tecniche di lavorazione ridotta del terreno. Un maggiore ricorso alle rotazioni e una maggiore diversificazione culturale aiutano a mantenere la fertilità del suolo e a ridurre fertilizzanti e antiparassitari.
In sintesi si può dire che tutte le misure favorevoli alla piccola selvaggina hanno una ricaduta positiva su tutto l’ambiente. Basti pensare alle siepi: non sono solo un ambiente fondamentale per molte specie di fauna e degli straordinari corridoi ecologici, ma hanno anche una funzione importante nel combattere i cambiamenti climatici grazie alla loro capacità di immagazzinare il carbonio a una velocità maggiore rispetto alle foreste.
Occorrerebbe infine una maggiore promozione del lavoro congiunto di agricoltori e comunità (fra cui un posto preminente dovrebbe averlo il mondo venatorio) in modo da avere biodiversità su scala paesaggistica accanto alla sicurezza alimentare. Poter condividere dei progetti così come vien già fatto in altri Paesi europei rappresenterebbe un gran bel passo in avanti.
Biodiversità e produzione alimentare non sono cose contrapposte: abbiamo bisogno che entrambe lavorino mano nella mano.