Serve una prova di maturità
La Peste suina africana è esplosa come una bomba. Qualche dietrologo, che in queste occasioni non mancano mai, sostiene che il “fenomeno” fosse noto già da parecchie settimane proprio in quelle zone, Piemonte e Liguria, in cui a inizio gennaio sono emersi in tutta la loro potenziale gravità i primi focolai. Fatto sta che da quel momento quello della Psa non è più stato un problema che riguarda soltanto il mondo della caccia, ma a macchia d’olio ha rapidamente coinvolto altre categorie oltre ai cacciatori: primi fra tutti gli allevatori di suini, gli agricoltori, senza dimenticare che pur non rappresentando un rischio per la salute dell’uomo, ha causato parecchie preoccupazioni anche tra i cittadini, molti dei quali hanno il “nervo scoperto” legato alla pandemia di Covid-19. Anche le amministrazioni locali e i ministeri competenti sono subito scesi in campo, emanando disposizioni urgenti, fondamentali per ridurre al massimo il rischio di trasmissioni ad altre zone del territorio nazionale.
Un dato che efficacemente fotografa il rischio che stiamo correndo se la Psa si estendesse anche agli allevamenti di suini è rappresentato dai numeri del settore. Le aziende che in Italia si dedicano all’allevamento di maiali sono, circa, 20 mila e il loro fatturato è il più alto di tutto il settore agroalimentare: sette miliardi, circa, di euro (poco meno del 6% del fatturato totale dell’industria alimentare), con un valore dell’export che sfiora il miliardo di euro.
A quasi un mese dall’individuazione dei primi focolai però (e nel momento in cui siamo andati in stampa con questo numero di Caccia magazine) sono arrivati altri dati molto interessanti che, pur senza autorizzare ad abbassare la guardia nessuna delle istituzioni scientifiche e politiche coinvolte da subito nella lotta alla Psa, possono aiutarci a guardare con un po’ più di ottimismo un’emergenza che resta, comunque, grave.
Secondo l’Istituto zooprofilattico sperimentale di Piemonte-Liguria-Valle d’Aosta, alla data del 4 febbraio i casi accertati di Peste suina africana nei territori in cui sono stati identificati i primi focolai erano 31 (17 dei quali in Liguria e 14 in Piemonte).
Tutti i casi, tranne due, identificati dopo il ritrovamento delle carcasse di cinghiali morti per la Psa si sono verificati in un territorio a cavallo tra le due regioni e delimitato dalle autostrade A7 (Milano-Genova) e A26 (Genova-Gravellona Toce), come ha spiegato Francesco Santilli, laurea in scienze della produzione animale ed esperto in gestione e protezione del patrimonio faunistico.
Quasi che i tragitti autostradali avessero avuto la funzione di “recinto naturale” in grado di evitare, o quantomeno limitare, a esemplari infetti di irradiarsi verso altri territori limitrofi.
Proprio quella dei recinti è stata una delle armi messa in campo in altri Paesi dell’Europa, colpiti prima dell’Italia dalla Psa: «Soltanto Repubblica ceca e Belgio sono riusciti a contenere l’onda epidemica», ha spiegato Vittorio Guberti, ricercatore Ispra e componente dell’unità di crisi sulla Peste suina africana, «con una recinzione».
Ma il territorio italiano non aiuta a intraprendere questa soluzione, perciò lo stesso ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali,
Stefano Patuanelli, con una nota recapitata a tutte le associazioni venatorie riconosciute ha richiesto la massima collaborazione da parte dei cacciatori nella gestione del fenomeno.
Il Mipaaf ha sottolineato anche l’importanza della collaborazione da parte del mondo venatorio nella ricerca delle carcasse di cinghiale, oltre al ruolo fondamentale che i cacciatori, in quanto esperti conoscitori della natura e del territorio, potrebbero svolgere nella raccolta di dati e informazioni sulla popolazione di cinghiale. E questo è un punto essenziale di questa vicenda. Da più parti, istituzioni, ma, soprattutto, opinione pubblica, non soltanto è stato invocato l’intervento dei cacciatori, ma ne è stato riconosciuto anche il ruolo centrale nella gestione della fauna, anche grazie alla profonda conoscenza del territorio. Ora tocca ai cacciatori capitalizzare al massimo questa “investitura”.
Quella dell’emergenza Psa è l’occasione perfetta per dare di noi cacciatori una percezione corretta e per sconfiggere posizioni ideologiche non più sostenibili dal mondo ambientalista più evoluto e disposto al confronto.
Quante volte ce lo siamo raccontati tra di noi? Siamo corretti, siamo preparati, sappiamo gestire. Ecco, adesso è arrivato il momento di far capire a tutti, con i fatti, anche ai più riottosi, che possiamo davvero
essere “sentinelle della natura”. Inutile “fare i preziosi”, fare quelli che si tirano indietro, fare gli offesi perché per anni siamo stati mazzolati. Mettiamoci a disposizione, dimostriamo che nella battaglia contro la Psa dobbiamo recitare un ruolo decisivo, un ruolo che in futuro potrà essere sfruttato in altre circostanze. Diamo una prova di maturità.