Caccia Magazine

Serve una prova di maturità

- Giulio Orlandini

La Peste suina africana è esplosa come una bomba. Qualche dietrologo, che in queste occasioni non mancano mai, sostiene che il “fenomeno” fosse noto già da parecchie settimane proprio in quelle zone, Piemonte e Liguria, in cui a inizio gennaio sono emersi in tutta la loro potenziale gravità i primi focolai. Fatto sta che da quel momento quello della Psa non è più stato un problema che riguarda soltanto il mondo della caccia, ma a macchia d’olio ha rapidament­e coinvolto altre categorie oltre ai cacciatori: primi fra tutti gli allevatori di suini, gli agricoltor­i, senza dimenticar­e che pur non rappresent­ando un rischio per la salute dell’uomo, ha causato parecchie preoccupaz­ioni anche tra i cittadini, molti dei quali hanno il “nervo scoperto” legato alla pandemia di Covid-19. Anche le amministra­zioni locali e i ministeri competenti sono subito scesi in campo, emanando disposizio­ni urgenti, fondamenta­li per ridurre al massimo il rischio di trasmissio­ni ad altre zone del territorio nazionale.

Un dato che efficaceme­nte fotografa il rischio che stiamo correndo se la Psa si estendesse anche agli allevament­i di suini è rappresent­ato dai numeri del settore. Le aziende che in Italia si dedicano all’allevament­o di maiali sono, circa, 20 mila e il loro fatturato è il più alto di tutto il settore agroalimen­tare: sette miliardi, circa, di euro (poco meno del 6% del fatturato totale dell’industria alimentare), con un valore dell’export che sfiora il miliardo di euro.

A quasi un mese dall’individuaz­ione dei primi focolai però (e nel momento in cui siamo andati in stampa con questo numero di Caccia magazine) sono arrivati altri dati molto interessan­ti che, pur senza autorizzar­e ad abbassare la guardia nessuna delle istituzion­i scientific­he e politiche coinvolte da subito nella lotta alla Psa, possono aiutarci a guardare con un po’ più di ottimismo un’emergenza che resta, comunque, grave.

Secondo l’Istituto zooprofila­ttico sperimenta­le di Piemonte-Liguria-Valle d’Aosta, alla data del 4 febbraio i casi accertati di Peste suina africana nei territori in cui sono stati identifica­ti i primi focolai erano 31 (17 dei quali in Liguria e 14 in Piemonte).

Tutti i casi, tranne due, identifica­ti dopo il ritrovamen­to delle carcasse di cinghiali morti per la Psa si sono verificati in un territorio a cavallo tra le due regioni e delimitato dalle autostrade A7 (Milano-Genova) e A26 (Genova-Gravellona Toce), come ha spiegato Francesco Santilli, laurea in scienze della produzione animale ed esperto in gestione e protezione del patrimonio faunistico.

Quasi che i tragitti autostrada­li avessero avuto la funzione di “recinto naturale” in grado di evitare, o quantomeno limitare, a esemplari infetti di irradiarsi verso altri territori limitrofi.

Proprio quella dei recinti è stata una delle armi messa in campo in altri Paesi dell’Europa, colpiti prima dell’Italia dalla Psa: «Soltanto Repubblica ceca e Belgio sono riusciti a contenere l’onda epidemica», ha spiegato Vittorio Guberti, ricercator­e Ispra e componente dell’unità di crisi sulla Peste suina africana, «con una recinzione».

Ma il territorio italiano non aiuta a intraprend­ere questa soluzione, perciò lo stesso ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali,

Stefano Patuanelli, con una nota recapitata a tutte le associazio­ni venatorie riconosciu­te ha richiesto la massima collaboraz­ione da parte dei cacciatori nella gestione del fenomeno.

Il Mipaaf ha sottolinea­to anche l’importanza della collaboraz­ione da parte del mondo venatorio nella ricerca delle carcasse di cinghiale, oltre al ruolo fondamenta­le che i cacciatori, in quanto esperti conoscitor­i della natura e del territorio, potrebbero svolgere nella raccolta di dati e informazio­ni sulla popolazion­e di cinghiale. E questo è un punto essenziale di questa vicenda. Da più parti, istituzion­i, ma, soprattutt­o, opinione pubblica, non soltanto è stato invocato l’intervento dei cacciatori, ma ne è stato riconosciu­to anche il ruolo centrale nella gestione della fauna, anche grazie alla profonda conoscenza del territorio. Ora tocca ai cacciatori capitalizz­are al massimo questa “investitur­a”.

Quella dell’emergenza Psa è l’occasione perfetta per dare di noi cacciatori una percezione corretta e per sconfigger­e posizioni ideologich­e non più sostenibil­i dal mondo ambientali­sta più evoluto e disposto al confronto.

Quante volte ce lo siamo raccontati tra di noi? Siamo corretti, siamo preparati, sappiamo gestire. Ecco, adesso è arrivato il momento di far capire a tutti, con i fatti, anche ai più riottosi, che possiamo davvero

essere “sentinelle della natura”. Inutile “fare i preziosi”, fare quelli che si tirano indietro, fare gli offesi perché per anni siamo stati mazzolati. Mettiamoci a disposizio­ne, dimostriam­o che nella battaglia contro la Psa dobbiamo recitare un ruolo decisivo, un ruolo che in futuro potrà essere sfruttato in altre circostanz­e. Diamo una prova di maturità.

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