Le recinzioni? Da sole non bastano
Carlo Citterio (Izs delle Venezie e Sief) ricorda che il fattore chiave per il contenimento del virus è «un’attuazione scrupolosa della sorveglianza passiva»
«Qualunque recinzione va intesa come parte di un sistema di misure per il controllo della peste suina africana» ricorda Carlo Citterio, veterinario dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie e presidente della Società italiana di ecopatologia della fauna. «Le recinzioni infatti rallentano la diffusione della malattia, ma non sono in grado di arrestarla del tutto».
La gestione passata di altre patologie - lei ha lavorato sulla rabbia - può fornirci qualche indicazione sul modo in cui circoscrivere il contagio?
L’esperienza della rabbia può forse essere utile per i canali di comunicazione e collaborazione che ha contribuito a formare, ma a parte questo purtroppo non ci aiuta molto. Questo sia perché i due virus, la loro ecologia, le specie prevalentemente colpite e le modalità di infezione sono completamente diversi, sia perché contro la rabbia è disponibile il presidio fondamentale della vaccinazione orale della specie serbatoio, la volpe, mentre nulla del genere è oggi disponibile nei suidi contro la peste suina africana. Inoltre il grave impatto livello commerciale, economico e di conseguenza sociale che la peste suina africana potrebbe avere nel nostro Paese non si può paragonare a quello della rabbia. Al momento, oltre naturalmente alle misure in atto nelle zone interessate dalla malattia, in tutta Italia il fattore chiave è un’attuazione scrupolosa della sorveglianza passiva, in modo da individuare il prima possibile la presenza della peste suina africana. Come hanno mostrato le esperienze di Repubblica Ceca e Belgio, l’identificazione precoce è il prerequisito per qualunque ipotesi di contenimento ed eradicazione di questa malattia.
La recinzione dell’area infetta è praticabile? Esistono eventualmente possibili soluzioni alternative?
Le recinzioni sono opzioni che sicuramente vanno considerate. Possono essere di diversi tipi (elettriche, metalliche), ciascuno dei quali ha le sue indicazioni, i suoi vantaggi e i suoi problemi. La scelta di utilizzarle o meno e di quale tipo utilizzare dipende naturalmente da diversi fattori come la configurazione e praticabilità del territorio, le possibilità operative, la distribuzione della popolazione di cinghiale nonché naturalmente dalla reperibilità delle attrezzature stesse. Queste scelte pertanto devono essere operate dalle autorità e dagli esperti che stanno gestendo la situazione in loco, perché conoscono il territorio. Ricordo solo, come regola generale, che qualunque recinzione va intesa come parte di un sistema di misure per il controllo della peste suina africana. Le recinzioni infatti rallentano la diffusione della malattia, ma non sono in grado di arrestarla del tutto.
Quanti episodi di introduzione accidentale di virus della peste suina ci sono dovuti essere per causare la situazione oggi in atto tra Piemonte e Liguria?
Una risposta precisa è impossibile, ma potrebbe tranquillamente essere stato uno solo. I cinghiali che s’infettano, e che poi nella stragrande maggioranza dei casi si ammalano e muoiono entro tre-cinque giorni liberando nell’ambiente massicce quantità di virus e rimanendo loro volta infettanti sul territorio come carcasse in cui il virus resiste molto a lungo, sicuramente infettano i cinghiali sani; sia da malati per contatto diretto e immettendo il virus nell’ambiente, sia da morti come carcasse infette sul territorio.