Non siamo più soli
Oggi è praticamente impossibile esercitare la caccia senza incontrare, avvistare, osservare o incrociare qualcuno che con la nostra passione non ha niente a che spartire. Gente che passeggia, biker e ospiti di maneggi, escursionisti, podisti e tanti altri ancora. Qualche consiglio per una serena convivenza
Sembra ieri. Sembra solo ieri che, andando a caccia, non si trovava nessuno in circolazione, fatta eccezione per altri cacciatori, pescatori, cercatori di funghi e, ovviamente, i conduttori dei terreni agricoli, intenti ai lavori stagionali. In buona sostanza era pressoché impossibile incontrare altre persone che non coltivassero la nostra passione - o passioni analoghe nella natura, come la pesca e la raccolta dei funghi - o che non si trovassero in aperta campagna durante l’autunno o l’inverno per esercitare il proprio lavoro. Molti edifici rurali venivano abbandonati o comunque non più abitati, magari declassati al rango di depositi e magazzini per attrezzature e macchinari agricoli, ma senza presenze umane fisse. Oppure, più semplicemente, tanti stabili venivano lasciati andare in rovina ed era veramente triste vedere cascinali e fattorie cadere in pezzi, luoghi che erano stati il cuore pulsante della vita rurale del nostro Paese fino al secondo dopoguerra. Tutto questo lo si poteva osservare dal piano alla collina e fino alla montagna, senza quasi soluzione di continuità, benché la solitudine del cacciatore fosse più intensa e percepibile nelle aree collinari e montane. In realtà, se ci fermiamo un attimo a riflettere, ci rendiamo conto che il tempo trascorso da quando
abbiamo registrato nella nostra memoria queste immagini e sensazioni (tutt’oggi assai vivide) non è poco, trattandosi ormai di alcuni decenni, però il mutamento avvenuto nel frattempo è stato imponente e macroscopico.
Oggi è praticamente impossibile esercitare la caccia senza incontrare, avvistare, osservare o incrociare qualcuno che con la nostra passione non ha niente a che spartire. Gente semplicemente a passeggio, con cani o senza, biker e ospiti di maneggi, escursionisti, podisti e tanti altri ancora. Da dove sbucano tutti costoro? Perché la campagna è più raggiungibile e più ambita di trenta o quarant’anni fa? Se ci diamo un’occhiata attorno, lo capiamo immediatamente: esplosione demografica e urbanistica di centri abitati in precedenza piccoli o piccolissimi, divenuti meta agognata di coloro che sono fuggiti dalle città maggiori in cerca di un presunto idillio agreste; proliferazione di percorsi ciclopedonali tracciati dai Comuni; recupero e riqualificazione di numerose case coloniche e cascine, trasformatesi in affascinanti case di corte; moltiplicazione di agriturismi e centri ippici, così come dei relativi frequentatori, per una vacanza più genuina e lontana dalle masse vocianti concentrate sulle spiagge; ripristino di sentieri vecchi e apertura di nuovi, magari lungo i corsi d’acqua che sempre esercitano una particolare attrattiva. Una serie nutrita di cause, tutte collegate l’una all’altra e tutte connesse alle trasformazioni socio-economiche, politiche e culturali che hanno caratterizzato l’Italia dagli anni Ottanta del Novecento in poi.
Bando ai pregiudizi
In ogni caso, qualunque sia stato il meccanismo che ha portato tanta gente in più a spasso per boschi e campi, riteniamo importante che sia ben compreso e accettato il fatto che queste persone si trovano sul terreno per svolgere un’attività outdoor che è loro congeniale, che le appassiona magari tanto quanto l’arte di Diana appassiona noi, o anche solo per una salutare boccata d’aria all’insegna del relax interiore. Una valutazione importante, che da sé dovrebbe indirizzarci verso un atteggiamento cordiale e comunque non prevenuto, né palesemente infastidito per questi incontri diversi. Perché sarebbe già un ottimo punto di partenza. Assodato che noi cacciatori non abbiamo più da un bel po’ l’esclusiva nell’utilizzo del territorio rurale, comportarci di conseguenza non