La questione dei percorsi ciclopedonali
Da alcuni anni, soprattutto nelle regioni a più elevato indice di urbanizzazione, si è aperto un confronto-scontro interpretativo su come debbano essere intesi i percorsi ciclopedonali rispetto all’osservanza delle distanze minime previste dalle norme venatorie. L’articolo 21, comma 1, lettere e) e f) della legge 157/92 dispone il divieto di cacciare a meno di 50 metri da strade carrozzabili (fatta eccezione per quelle poderali e interpoderali) e ferrovie, e di sparare verso di esse (sempre con l’eccezione delle strade poderali e interpoderali) da distanza inferiore a 150 metri con utilizzo di fucile con canna ad anima liscia e da meno di una volta e mezza la gittata massima con uso di altre armi. alcune leggi regionali hanno aggiunto alle eccezioni anche le strade agro-silvo-pastorali, piuttosto diffuse nelle zone montane. Tuttavia, in nessun testo legislativo, perlomeno a nostra conoscenza, compaiono formalmente i percorsi ciclopedonali. La lacuna nella legge statale si spiega facilmente con la sua vetustà: nel 1992 il tema e ancor più la realizzazione di questi tracciati riservati a biciclette e pedoni era di là dal concretizzarsi ed evidentemente nessuno li tenne in considerazione, mentre lo avrebbero potuto fare le leggi regionali, attuative di quella statale, oggetto nel corso del tempo di numerosi interventi di modifica e integrazione, diversamente dalla legge 157.
Come debba essere catalogato un percorso ciclopedonale ce lo dice comunque il codice della strada che, all’articolo 2, comma 2, lettera f-bis, lo classifica come strada locale, urbana, extraurbana o vicinale, destinata prevalentemente alla percorrenza pedonale e ciclabile e caratterizzata da una sicurezza intrinseca a tutela dell’utenza (vulnerabile) della strada. Ciascuno ne tragga le proprie considerazioni.
Nei casi in cui, magari in sede di pianificazione faunistico-venatoria regionale o provinciale, sia stato esteso ai percorsi ciclopedonali il rispetto delle distanze di cui all’articolo 21 della legge 157/92 le ambiguità sono superate. Diversamente, richiamiamo il cacciatore al proprio senso di responsabilità, invitandolo a non esercitare la caccia nei pressi di tali tracciati e, ancor più, a non tirare il grilletto in loro direzione. Qualche evento con ciclisti impallinati si è già verificato e anche un solo incidente in più, oltre al danno per la persona colpita, dà ossigeno a chi vede tutti i cacciatori come pericolosi criminali da eradicare.
sarebbe male, anzi, sarebbe doveroso. Un atteggiamento positivo, traducibile pertanto in gesti simili o identici a quelli che si dovrebbero compiere incontrando altri cacciatori, in primis il saluto avendo l’accortezza di tenere il fucile in spalla o, se basculante, aperto e visibilmente inoffensivo.
Per chi caccia col cane disporre del proprio amico a quattro zampe è sicuramente un asso nella manica sul fronte della cordialità, soprattutto se si incrociano gruppetti formati da adulti e ragazzini o bambini. La presenza del cane contribuisce ad annacquare velleità polemiche, ove qualcuno intendesse manifestarle. L’unico possibile inconveniente può venire dal fatto che anche coloro che incontriamo si accompagnino a cani, ma in tal caso basterà agire come è abituato a fare ogni proprietario del miglior amico dell’uomo per prevenire il rischio di scontri tra i quattrozampe. Altro consiglio è quello di evitare l’ostentazione di animali morti. Ciascuno di noi ha la cacciatora (o carniere o tascapane che dir si voglia) dentro cui riporre i selvatici abbattuti, così come si può sistemarli nello zaino o in qualunque altro contenitore che eviti di lasciarli in vista. Non si tratta di ipocrisia visto che ogni cacciatore circola con un’arma da fuoco che non serve a scattare fotografie, ma senza dubbio si tratta di rispetto per le sensibilità altrui che non ci sono note e che non è affatto scontato che collimino con la nostra. Già consideriamo talvolta eccessivo e inopportuno che, con gran compiacimento, vengano esibiti carnieri opimi sui gruppi social di soli cacciatori, figuriamoci farlo in presenza di persone tendenzialmente estranee al nostro piccolo mondo.
Il silenzio è d'oro
Un ulteriore suggerimento lo rivolgiamo a un argomento che appare trascurato da un certo numero di cacciatori, ossia il rumore. La caccia ha una sua componente rumorosa, lo sparo. Tutti conosciamo e memoria (lo speriamo) le distanze minime da case, immobili, fabbricati, vie di comunicazione stradali e ferroviarie imposte dalla vigente legislazione sia per cacciare sia per sparare nella loro direzione. Tali distanze rispondono peraltro all’esigenza principale della sicurezza, puntano a garantire l’incolumità di terzi, di animali
e cose rispetto ai proiettili, che siano a pallini o a palla unica, che provengano da canna liscia o da canna rigata. Qui però entra in gioco il fattore uditivo, cioè la reazione individuale al rumore prodotto dallo sparo, che non viene mai considerata, ma che può costituire elemento rilevante. La difficoltà, in questo caso, pertiene alla definizione di una misurazione oggettiva, senz’altro molto più difficoltosa rispetto, ad esempio, al calcolo balistico che ci rivela fino a quale distanza siano effettivamente lesivi e pericolosi dei pal
lini del sette o una palla del .30.06. Rammentiamo benissimo casi di segnalazioni da parte di cittadini allarmati per spari sotto casa, salvo poi verificare, dopo l’intervento della vigilanza venatoria, che le fucilate erano state esplose magari ad alcune centinaia di metri dalle abitazioni, abbondantemente al di sopra della distanza minima di sicurezza prescritta dalle norme. L’impatto acustico è tanto più consistente in pianura, dove il livello di antropizzazione rende pressoché impossibile che lo sparo passi inavvertito e che non ci sia qualcuno che ne provi fastidio. Pertanto tutto questo lungo disquisire mira a suggerire di valutare anche questo elemento prima di scegliere luoghi, giorni e orari per l’esercizio della nostra attività. Forse un eccesso di zelo, ma che può aiutare a evitare polemiche inutili. Concludiamo con un pensiero e una considerazione. Il primo lo rivolgiamo alla Fnc, la Fédération nationale des chasseurs, che circa un ventennio fa, con la sua consueta, grande preveggenza, dedicò al tema di questo nostro breve articolo uno dei suoi annuali della collana Piccoli libri verdi del cacciatore, intitolandolo I cacciatori e gli altri utilizzatori della natura e che fu tradotto in italiano su incarico dell’allora vicepresidente della Face Gianni Bana. La considerazione che ci teniamo a fare, invece, è che tutto ciò che abbiamo scritto decade miseramente ove si incontri il fanatico di turno, verbalmente aggressivo e palesemente ostile. In tale antipatica evenienza, rifuggendo da un impossibile dialogo e non cedendo a quanto l’istinto suggerirebbe di fare, non si può far altro che voltare gli stivali e allontanarsi, ricorrendo alla telefonata alle forze dell’ordine solo nei casi disperati in cui si tema per la propria incolumità. Casi rari per fortuna e che, forse, il cacciatore può contribuire a ridurre ancor più, smascherando con le armi della cortesia e della cordialità le tante fandonie in circolazione sulla nostra attività. Coltiviamo la presunzione di avere, almeno in piccola parte, indicato la strada.