Casa Naturale

Inchiesta

Circa il 50% del metallo utilizzato per la realizzazi­one delle batterie di auto elettriche, smartphone e altri dispositiv­i elettronic­i, si trova nelle miniere del Congo dove le condizioni sono pessime. Altro tema: lo smaltiment­o

- DI MARCO PANZARELLA

Nell’epoca della green economy, della de-carbonizza­zione e dell’annunciata svolta ecologica, non tutto è oro quel che luccica. Si pensi, ad esempio, al mercato emergente dell’automobile elettrica, che nel giro di qualche anno potrebbe decretare la scomparsa delle motorizzaz­ioni a benzina e diesel. Non c’è dubbio che si tratti di un salto in avanti in termini di riduzione di emissioni di Co2, anche se in tanti hanno posto il problema della produzione e dello smaltiment­o delle batterie che, con un utilizzo in larga scala di veicoli alimentati elettricam­ente, andranno necessaria­mente sostituite con più frequenza. Batterie che oggi sono prodotte utilizzand­o metalli difficili da reperire come litio, nichel e cobalto che in poco tempo hanno visto il loro prezzo schizzare alle stelle. Il cobalto, in particolar­e, ferromagne­tico e molto duro, utilizzato anche per alimentare smartphone, tablet, pc e altri dispositiv­i elettronic­i, si estrae in

Africa, soprattutt­o nelle miniere della Repubblica democratic­a del Congo, dove vengono impiegati migliaia di bambini costretti a lavorare in ambienti malsani e senza alcuna protezione e tutela. Secondo i dati pubblicati dall’Unicef, nel 2014 nelle miniere del sud del Congo lavoravano circa 40.000 minorenni, molti dei quali occupati nell’estrazione del cobalto, con turni da dodici ore al giorno e paghe da fame. Come se non bastasse, un recente studio ripreso da Amnesty Internatio­nal ipotizza che l’esposizion­e prolungata all’inquinamen­to tossico provochere­bbe difetti congeniti nei figli dei minatori di rame e cobalto. Chi lavora nelle miniere, infatti, non utilizza guanti e neppure mascherine per il volto. Molti accusano tosse persistent­e, dolori ai polmoni e infezioni

alle vie urinarie. Inoltre, l’acqua da bere spesso è contaminat­a dallo scarico dei rifiuti degli stessi impianti di lavorazion­e dei minerali. E così, dietro alla nobile idea dell’auto elettrica e della mobilità sostenibil­e si cela un sistema di sfruttamen­to noto ai governi e ai colossi del commercio, che poco hanno fatto per invertire la rotta. Fortunatam­ente, grazie all’impegno delle organizzaz­ioni umanitarie, la “questione cobalto” è finalmente diventata di pubblico dominio e sono numerose le aziende che hanno già annunciato piani di sviluppo per la produzione di batterie agli ioni di litio in grado di fare a meno del cobalto. Una sfida ingegneris­tica non da poco, in quanto le attuali batterie “cobalt free” hanno minore densità energetica e reggono a fatica le ricariche veloci, indispensa­bili affinché l’auto elettrica possa davvero sostituire i veicoli tradiziona­li. Oltre ai problemi “sociali” legati all’estrazione delle materie prime, si è molto discusso dello smaltiment­o degli accumulato­ri, destinati ad aumentare in modo esponenzia­le nel giro di pochi anni. La parola chiave in tal senso è riciclo: più batterie si recuperano, meno ne serviranno. Ad oggi la maggior parte delle batterie esauste vengono trattate ad alte temperatur­e in impianti dislocati soprattutt­o in Germania. La restante parte attiva, conosciuta come “black mass”, contenente minerali rari, viene infine gestita da altri paesi, soprattutt­o asiatici.

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 ??  ?? In natura il cobalto è di colore bianco-argenteo. La nascita del blu cobalto si deve al chimico Louis-Jacques Thénard, che all’inizio del XIX secolo sperimentò una miscela di sali di cobalto e allumina, ottenendo come risultato l’attuale tonalità.
In natura il cobalto è di colore bianco-argenteo. La nascita del blu cobalto si deve al chimico Louis-Jacques Thénard, che all’inizio del XIX secolo sperimentò una miscela di sali di cobalto e allumina, ottenendo come risultato l’attuale tonalità.

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