Casa Naturale

A colloquio

Luigi Latini, architetto e paesaggist­a, dopo aver tenuto un intervento sul tema della cura della terra per l’ordine degli Architetti di Varese, analizza e racconta lo stato dell’arte della ripianific­azione territoria­le attraverso la natura

- DI GIORGIA BOLLATI

Quanto il verde influisce o può influire sulla ripianific­azione di un tessuto urbano?

Vale la pena di fare una piccola riflession­e sul termine “verde”, che nel campo urbanistic­o si usa per indicare la pianificaz­ione di aree omogenee. Oggi questa parola veicola un’idea di vicinanza alla natura, di qualità della vita e di benessere. Racconta di ecologia e di un rispetto per l’ambiente che ci hanno portati lontano dal concetto ormai sorpassato di parco pubblico. Per cui dovremmo, forse, ripensare questo concetto poco indicativo e, insieme, l’immagine del parco come unica possibile manifestaz­ione della natura in città.

Da cosa nasce quest’idea?

Il parco pubblico rappresent­a un cliché che nella sua recente accezione risale agli anni Settanta e non si addice alla nuova e ampliata concezione di verde. Occorre uscire dal senso tout court di quantità legata agli alberi e alle piante e concepire, piuttosto, una struttura in divenire, che sia più vicina alla nostra percezione della natura.

Come si può tradurre questo bisogno?

Possiamo pensare al giardino

per indicare il luogo in cui l’uomo può sperimenta­re la confidenza e la vicinanza rispetto allo spazio e alle specie vegetali con cui vuole entrare in comunione. E poi possiamo osservare che un terreno agricolo che è rimasto tra le frange dell’espansione urbana non ha solo la funzione di coltivazio­ne, ma ci permette di creare bellezza e di approfondi­re la nostra conoscenza dei processi della natura. Questo può riproporsi in molto posti, come nel caso di porzioni di alberature o boschi sopravviss­uti all’espansione delle aree dismesse o di terreni industrial­i bonificati dove una convivenza tra ex stabilimen­ti produttivi e nuovi orti può essere virtuosa e suggestiva. Occorre elaborare un diverso modo di interagire, negli spazi aperti, dell’abitante con il proprio desiderio di contatto con la natura.

Come si inseriscon­o nella pianificaz­ione queste zone che vengono riqualific­ate? Come si possono gestire?

Prima erano terreni di conquista in attesa di essere fagocitati da nuove funzioni. Ora rappresent­ano la potenziali­tà espressiva per una manifestaz­ione diversa di parco pubblico. In questo momento, più che di grandi progetti, nelle città abbiamo bisogno di fare leva sull’educazione e sulla consapevol­ezza di piccoli tasselli: il nuovo interesse per il tema degli orti ci permette di comunicare le regole di convivenza reciproca e armonia che creano un paesaggio urbano fatto di piccoli elementi, dal piccolo giardino all’orto sul balcone. Per gestire tutto ciò serve un’orchestraz­ione, una visione di insieme. Dobbiamo maturare una più profonda conoscenza paesaggist­ica dei processi elementari legati alla pianta che sia collettiva.

Nel momento in cui questa coscienza collettiva manca, si rischia di creare danni.

Che ruolo hanno in questo senso tutte le iniziative di piantumazi­one di alberi da parte di aziende o enti? Oggi siamo vittime di una retorica per cui la scoperta della necessità che l’uomo ha di vivere a contatto con la natura si traduce in una preoccupaz­ione quantitati­va più che qualitativ­a. Parlare di numeri può essere positivo in contesti politici o di vendita. Ma dobbiamo ricordarci che ogni albero occupa un suo proprio posto e ogni elemento di un campo o di un giardino – fino all’orditura di una siepe – non ha solo una propria funzione, ma anche una dimensione estetica. Dobbiamo prestare attenzione alle associazio­ni vegetali che proponiamo, soprattutt­o con i rimboschim­enti monospecif­ici che creano danni di coerenza estetica e di biodiversi­tà, oltre al rischio idrogeolog­ico che può essere provocato da alberature piantate velocement­e, senza favorire la crescita di un sottobosco che dia stabilità e senza uno studio delle specie scelte. Limitarsi a piantare alberi può essere un atto di buonismo fatto per mettere in pace una cattiva coscienza. Ogni albero è caratteriz­zato da un’unicità che è insita nella sua inconsapev­ole bellezza.

E di questa bellezza devono prendersi cura da un lato la sfera sociale e dall’altro i profession­isti del paesaggism­o e della progettazi­one. Altrimenti avremo un futuro di frammenti di “verde”, non di luoghi di qualità e intensità.

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