A colloquio
Luigi Latini, architetto e paesaggista, dopo aver tenuto un intervento sul tema della cura della terra per l’ordine degli Architetti di Varese, analizza e racconta lo stato dell’arte della ripianificazione territoriale attraverso la natura
Quanto il verde influisce o può influire sulla ripianificazione di un tessuto urbano?
Vale la pena di fare una piccola riflessione sul termine “verde”, che nel campo urbanistico si usa per indicare la pianificazione di aree omogenee. Oggi questa parola veicola un’idea di vicinanza alla natura, di qualità della vita e di benessere. Racconta di ecologia e di un rispetto per l’ambiente che ci hanno portati lontano dal concetto ormai sorpassato di parco pubblico. Per cui dovremmo, forse, ripensare questo concetto poco indicativo e, insieme, l’immagine del parco come unica possibile manifestazione della natura in città.
Da cosa nasce quest’idea?
Il parco pubblico rappresenta un cliché che nella sua recente accezione risale agli anni Settanta e non si addice alla nuova e ampliata concezione di verde. Occorre uscire dal senso tout court di quantità legata agli alberi e alle piante e concepire, piuttosto, una struttura in divenire, che sia più vicina alla nostra percezione della natura.
Come si può tradurre questo bisogno?
Possiamo pensare al giardino
per indicare il luogo in cui l’uomo può sperimentare la confidenza e la vicinanza rispetto allo spazio e alle specie vegetali con cui vuole entrare in comunione. E poi possiamo osservare che un terreno agricolo che è rimasto tra le frange dell’espansione urbana non ha solo la funzione di coltivazione, ma ci permette di creare bellezza e di approfondire la nostra conoscenza dei processi della natura. Questo può riproporsi in molto posti, come nel caso di porzioni di alberature o boschi sopravvissuti all’espansione delle aree dismesse o di terreni industriali bonificati dove una convivenza tra ex stabilimenti produttivi e nuovi orti può essere virtuosa e suggestiva. Occorre elaborare un diverso modo di interagire, negli spazi aperti, dell’abitante con il proprio desiderio di contatto con la natura.
Come si inseriscono nella pianificazione queste zone che vengono riqualificate? Come si possono gestire?
Prima erano terreni di conquista in attesa di essere fagocitati da nuove funzioni. Ora rappresentano la potenzialità espressiva per una manifestazione diversa di parco pubblico. In questo momento, più che di grandi progetti, nelle città abbiamo bisogno di fare leva sull’educazione e sulla consapevolezza di piccoli tasselli: il nuovo interesse per il tema degli orti ci permette di comunicare le regole di convivenza reciproca e armonia che creano un paesaggio urbano fatto di piccoli elementi, dal piccolo giardino all’orto sul balcone. Per gestire tutto ciò serve un’orchestrazione, una visione di insieme. Dobbiamo maturare una più profonda conoscenza paesaggistica dei processi elementari legati alla pianta che sia collettiva.
Nel momento in cui questa coscienza collettiva manca, si rischia di creare danni.
Che ruolo hanno in questo senso tutte le iniziative di piantumazione di alberi da parte di aziende o enti? Oggi siamo vittime di una retorica per cui la scoperta della necessità che l’uomo ha di vivere a contatto con la natura si traduce in una preoccupazione quantitativa più che qualitativa. Parlare di numeri può essere positivo in contesti politici o di vendita. Ma dobbiamo ricordarci che ogni albero occupa un suo proprio posto e ogni elemento di un campo o di un giardino – fino all’orditura di una siepe – non ha solo una propria funzione, ma anche una dimensione estetica. Dobbiamo prestare attenzione alle associazioni vegetali che proponiamo, soprattutto con i rimboschimenti monospecifici che creano danni di coerenza estetica e di biodiversità, oltre al rischio idrogeologico che può essere provocato da alberature piantate velocemente, senza favorire la crescita di un sottobosco che dia stabilità e senza uno studio delle specie scelte. Limitarsi a piantare alberi può essere un atto di buonismo fatto per mettere in pace una cattiva coscienza. Ogni albero è caratterizzato da un’unicità che è insita nella sua inconsapevole bellezza.
E di questa bellezza devono prendersi cura da un lato la sfera sociale e dall’altro i professionisti del paesaggismo e della progettazione. Altrimenti avremo un futuro di frammenti di “verde”, non di luoghi di qualità e intensità.