Inchiesta
Per costruire con il legno in maniera sicura spesso si usano colle, impregnanti e vernici che possono essere insalubri, e rischiano di impedire un corretto riciclo del materiale
Il legno è un materiale organico. Prodotto in maniera naturale, con la stessa naturalezza si decompone. Finché l’uomo non si inserisce nel suo ciclo di vita. «Difficilmente in architettura si usa legno vergine – spiega Corrado Carbonaro, architetto e responsabile tecnico del laboratorio LASTIN dip. DAD del Politecnico di Torino –. Nella maggior parte dei casi, si utilizza legno ingegnerizzato, che ricorre all’uso di colle e impregnanti per garantire la durabilità del prodotto e proteggerlo dalle eventuali intemperie. Questo incide in larga misura sulla sostenibilità ambientale del legno». Se ha subito lavorazioni che includono l’uso di materiali non naturali, infatti, questo viene classificato come rifiuto speciale nel momento dello smaltimento. Si vanifica, così, quella ricerca di sostenibilità che guida le scelte di costruzione verso un elemento ritrovabile in natura.
I pannelli lamellari o truciolari sono prodotti da legni incollati tra loro che diventano, in questo modo, difficilmente smaltibili o recuperabili.
Non solo. Esistono altre situazioni in cui occorre apportare lavorazioni al materiale grezzo, che necessita di specifici trattamenti o additivi in grado di garantirne la performance. Tre sono gli aspetti su cui è necessario lavorare. «Esposto all’ambiente esterno – continua l’esperto –, deve resistere a irraggiamento solare, all’acqua e ai cicli freddo-caldo e viene, quindi, trattato con vernici e impregnanti protettivi che spesso non sono naturali. Quale elemento strutturale, il legno ingegnerizzato prevede un utilizzo di collanti in una misura adeguata a garantire le prestazioni meccaniche conformi alle norme. Ad esempio, quelli usati per il cross laminated timber (CLT) possono essere poliuretanici, privi di formaldeide e più sostenibili, o di altra composizione, ma caratterizzati da una percentuale, seppur bassa, di formaldeide.
Infine, l’uso di vernici o impregnanti per incrementare la resistenza al fuoco del legno ne prolungano la durata, ma ne aumentano l’impatto ambientale».
Se è difficilmente smaltibile, esistono però tecniche e metodi per ricollocare elementi già usati. «È possibile prolungare il fine vita del legno – prosegue Carbonaro –, a maggior ragione se consideriamo che nelle sue fibre rimane stoccata una grande quantità di CO2 fissata durante il processo di fotosintesi». Il legno, infatti, viene utilizzato molto anche in quanto carbon sink, letteralmente “pozzo di assorbimento di petrolio”, per stoccare anidride carbonica che può rimanere lì intrappolata per anni. Attraverso tecniche di eco-design, è possibile creare nuove parti strutturali, pannelli o elementi di arredo con legno già usato. Bisogna, però, appurarne la natura: occorre ripercorrerne la storia, perché nel caso derivi da pannelli o frammenti sminuzzati e incollati più volte, potrebbe contenere una quantità eccessiva di colle con il rischio di ridurre le prestazioni di partenza. «Il corpus normativo va incrementando progressivamente la qualità ambientale del legno – conclude Carbonaro –: le certificazioni ambientali di prodotto ne garantiscono il ciclo di vita fino al “cancello”. Ma resta da verificare l’uso che poi ne ha fatto chi lo ha utilizzato. Raramente, tuttavia, con uno sguardo si può capire come il legno sia stato trattato e occorre effettuare analisi ad hoc o poter risalire al processo di produzione e manutenzione. L’esperienza virtuosa di Rilegno evidenzia la necessità di una filiera di recupero estesa a tutti i materiali a base legno». Ad oggi, molte sono le ricerche avviate, da diverse aziende, volte a sviluppare ricette per nuove colle naturali – a base di soia o di mais – sempre più performanti. Così da abbattere l’impatto ambientale e, insieme, scoraggiare l’uso di componenti inquinanti.