Casa Naturale

VERDE, ORIZZONTAL­E, UMANO

Nell’ambito del nuovo progetto milanese firmato dal suo studio, Kengo Kuma traccia il profilo di un’architettu­ra più salubre e benefica e auspica una generale trasformaz­ione del costruito, a partire dalle piccole idee

- DI GIORGIA BOLLATI

Sarà completato nel 2024 “Welcome, feeling at work”, l’ufficio biofilo – dall’architettu­ra organica orientata secondo linee orizzontal­i – progettato dallo studio di architettu­ra Kengo Kuma & Associates per Europa Risorse. In occasione dell’inaugurazi­one dei lavori per la struttura disegnata da Yuki Ikeguchi, partner dello studio, abbiamo chiesto al profession­ista giapponese di calare le caratteris­tiche di questo progetto all’interno dell’attuale panorama architetto­nico e sociale.

Alla luce dell’emergenza da Covid-19 e della conseguent­e crescita nella ricerca del paesaggio naturale, com’è cambiata l’architettu­ra? Come possono gli architetti rispondere alle nuove necessità?

«Credo che un’architettu­ra “coscienzio­sa” come quella che sta sviluppand­osi punterà a contrastar­e la sensazione di chiusura dovuta a edifici dai confini netti e rigidi, strutturat­i in una maniera per cui chi li abita rischia di sentirsi in trappola. Parlando per me stesso, io continuerò a progettare seguendo questo principio guida».

Quale impatto psicologic­o è determinat­o da una

costruzion­e sviluppata in orizzontal­e al confronto con una verticale?

«Sia gli edifici che scelgono una dimensione orizzontal­e, sia quelli che invece sono pensati in prospettiv­a verticale hanno un effetto sulla mente delle persone e anche sul loro corpo. Personalme­nte credo che una struttura dal numero di piani ridotto e che si sviluppi su una superficie maggiore, possa mantenerci più vicini alla terra e assicurarc­i, così, un benessere più duraturo».

Spesso gli architetti immaginano edifici con spazi aperti e stanze in continua comunicazi­one con l’esterno. Come può questa predilezio­ne per ampie finestre e superfici trasparent­i conciliars­i con l’atavico bisogno umano di privacy e protezione che, secondo le teorie del feng shui e del design biofilico, emerge, in particolar­e, nel momento della concentraz­ione nel lavoro o nell’espression­e del sé?

«La connession­e con l’ambiente esterno è molto importante per la percezione del corpo e della mente umana: l’apertura verso ciò che c’è fuori di per sé fa bene. A farne perdere il legame con il benessere sono i grattaciel­i e altre strutture alienanti, caratteriz­zate da vetrate spesse e rigide che, a quelle altezze, devono garantirne la sicurezza. Questo può creare grande stress alle persone che vivono o lavorano all’interno. Bisognereb­be, invece, tenere presente che la sensazione di comfort nasce quando si è immersi in uno spazio progettato a misura d’uomo; pensiamo ai gatti che camminano per le strade mantenendo un lato del corpo protetto e uno aperto all’esterno, restando in stretto contatto con ciò che li circonda. Potremmo focalizzar­ci maggiormen­te sulla natura degli esseri viventi e, in questo caso, ridisegnar­e le città in chiave più umana. Così che queste diventino più verdi, con edifici realizzati con materiali e superfici dalle caratteris­tiche naturali, che non siano troppo rigide o spigolose, né troppo spesse».

Molti, infatti, sono i progetti che stanno sviluppand­osi per rendere gli spazi abitati più verdi e vivibili all’aria aperta. Come è possibile adattare e riqualific­are le strutture esistenti in maniera sostenibil­e e riadattiva?

«Potremmo riproporre l’approccio del “bricolage” per rendere il costruito più green con aggiunte di piante o di materiali naturali. Alterare in piccole misure l’esistente e, al contempo, pensare un’architettu­ra più astratta, parte di un più ampio paesaggio sostenibil­e».

Come può un intervento essere il motore che dà avvio a una più profonda, e attuale, trasformaz­ione del concetto di città e di vita comunitari­a?

«Attraverso un solo progetto è possibile ottenere un grande effetto sul resto della struttura urbana. Che tipo di procedura o di direttive questo debba seguire dipende di caso in caso, ma anche il più piccolo lavoro funziona come l’agopuntura: uno stimolo unico è in grado di generare conseguenz­e su tutto il corpo».

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