WELFARE URBANO
Intervista a Mario Cucinella, fondatore dello studio MCA Mario Cucinella Architect
Città di piccole dimensioni, quartieri connessi con spazi in condivisione, comunità a misura d’uomo. A partire da edifici capaci di reagire al clima come fa una pianta
Come si coniugano i grandi quartieri verdi, dotati di spazi condivisi, che vengono realizzati all’interno delle città con la spinta a ripopolare i borghi montani e rurali?
Il tema delle aree interne fa parte di un disegno politico più ampio. In molti casi lo spostamento può risultare difficoltoso per mancanza di infrastrutture a collegamento, ma, in generale, la rete di trasporto pubblico e privato arriva ovunque, con modalità e qualità differenti. Insieme alle infrastrutture digitali che dovranno essere, e saranno, sempre più potenziate. Queste zone potranno realmente partire quando ci sarà una connessione stabile, virtuale o reale: in caso contrario, un ripopolamento consistente di queste zone sarà impossibile nella società di oggi.
Non credo che tutti vogliano spostarsi nella quotidianità in zone periferiche. Realisticamente credo che abbiano più chances, in questo momento, le città medie o quei contesti urbani in cui una famiglia può vivere, in un’area che garantisca una qualità della vita migliore anche dal punto di vista della routine giornaliera.
Sono sempre di più i multipiano in via di realizzazione nei centri cittadini anche di grandi dimensioni…
Credo sia stata molto rivalutata la vita in quelle città o parti di città densamente popolate, con traffico e rumore opprimenti. Trovare casa nel centro urbano è passato dall’essere il grande sogno al grande incubo. L’idea, che fino all’altro ieri avevamo, per cui tutti, in futuro, avremmo vissuto nelle grandi città sta sgretolandosi anche sotto il peso dei mesi passati tra zone rosse e contagi. Ora la gente non vuole vivere al centro a ogni condizione, ma preferisce vivere meglio, in città. Le comunità di dimensioni ridotte, quei quartieri dotati di servizi, che propongono attività e sono connessi con gli altri luoghi di interesse stanno acquistando sempre maggiore favore poiché possono assicurare una vita familiare e lavorativa di qualità maggiore, fatta di più interazione umana, più silenzio e meno stress.
Quindi il passaggio non sarà da grandi città a territori periferici dimenticati, ma a centri di dimensioni inferiori pensati a misura d’uomo. Per quanto riguarda le piccole aree interne e la campagna occorre un piano nazionale che garantisca infrastrutture e collegamenti migliori.
Quindi l’espressione “green city” cosa viene a significare?
Bisogna cambiare la percezione delle distanze. Oggi parliamo di “green city” quando raccontiamo quei grandi centri urbani che aumentano il numero di piste
ciclabili, utilizzano lo sharing dell’elettrico e realizzano nuovi parchi. Ma il segreto starà nell’infrastruttura leggera e invisibile che è la rete virtuale che connette chiunque a ogni altro posto, anche da luoghi remoti. E in quel senso di comunità che si crea nei centri piccoli, in cui si condividono spazi e si possono svolgere attività insieme. Occorre investire di più nell’idea della città come operazione di welfare, un’operazione di vita più sana. Quando si sta a 20 minuti dal centro, intorno si ha la natura e all’interno si hanno luoghi più a misura d’uomo, comodi, salubri e confortevoli. Una grande città, per quanto green, con costruzioni virtuose, in legno e sostenibili, ci obbliga comunque a stare chiusi in autostrada. Bisogna lavorare su questa cultura.
In questi contesti che tipo di edilizia si utilizzerà?
Io da sempre credo nell’architettura biofilica e organica, con materiali naturali e piante. In particolare, trovo molto interessante il modo in cui – come suggerisce Stefano Mancuso – una specie vegetale sia avvicinabile a una costruzione, perché entrambe non possono spostarsi, ma sono esposte alle condizioni esterne. Da qui si sviluppa il tema dell’adattabilità al clima, così come le piante hanno fatto per migliaia di anni. I nostri edifici non sono molto capaci di farlo. Anzi, direi che sono stati contro il clima per molto tempo. Penso che dovremo trarre ispirazione dalla natura vicina – perché noi guardiamo sempre lontano, ma se osserviamo le piante dietro l’angolo abbiamo sempre qualcosa da imparare – per trasformare le nostre case in edifici che reagiscano alle condizioni climatiche, con materiali organici come il legno e con le ultime tecnologie, senza l’utilizzo di energia. Si aprirebbe, così, uno scenario meraviglioso, che ancora non è stato toccato, se non per piccoli elementi, in una visione progettuale ampia. Con i vecchi strumenti si fa fatica a superare questa soglia di passaggio. Servono strumenti culturali che consentano di andare oltre.