Terra, acqua e GERMOGLI
Qual è l’impatto idrico della nostra alimentazione? Quando acquistiamo cibo da paesi lontani, quanta acqua richiediamo al loro territorio? In un mercato intricato, valutare il consumo di risorse di ogni prodotto è complesso
«Si stima che l’italia importi sotto forma di cibo nel corso di un anno circa
1750 chilometri cubi d’acqua (secondo una stima fatta per l’anno 2016), volume che corrisponde a circa 35 volte la portata del lago di Garda». Questa la dichiarazione di Marta Tuninetti, ricercatrice presso il Dipartimento di Ingegneria per l’ambiente, il Territorio e le infrastrutture del Politecnico di Torino e ideatrice del progetto
Water To Food insieme a Benedetta Falsetti e
Carla Sciarra.
«La quantità di acqua consumata – prosegue
Tuninetti – dipende da un numero elevato di fattori – climatici, agricoli ed economici – ed è connessa alla mole di prodotto che viene richiesta. L’impronta idrica di un prodotto alimentare quantifica l’acqua che serve alle piante, di cui ci nutriamo noi e gli animali, durante il corso della loro crescita». Le impronte idriche non sono uguali e per produrre un chilogrammo di uno stesso alimento può essere necessaria una diversa quantità d’acqua. Secondo le stime di Water To Food, i litri di acqua al chilo per le arachidi sono 2764 e per l’avocado 937. Ancora, la medesima quantità di ananas necessita di 194 litri di acqua, la banana 615 e le nocciole 6179. Se, da un lato, appare semplice demonizzare determinati prodotti a fronte di regimi alimentari differenti, dall’altro, un’analisi più approfondita rende evidente che non basta valutare la domanda di evapotraspirazione di ogni pianta per comprenderne l’impatto idrico del consumatore finale. Non basta, cioè, determinare quanta acqua ogni specie vegetale perde – attraverso gli stomi delle foglie – nel processo di conversione della CO2 in glucosio per capire quanto ogni campo vada irrigato e, quindi, quale sia la
reale domanda idrica per ogni paese.
Bisogna pensare che le specie che vengono coltivate fuori stagione possono richiedere apporti idrici e nutritivi differenti. Per cui avere pomodori a disposizione tutto l’anno può richiedere un uso maggiore di acqua di irrigazione rispetto a quanta ne sia necessaria durante il reale periodo produttivo.
«La sincronia dei raccolti con la stagione delle piogge – chiarifica l’esperta – è fondamentale soprattutto nelle zone in cui manca l’irrigazione». In secondo luogo, è fondamentale considerare la resa: quindi, quanti chilogrammi di un prodotto come, per esempio, l’avocado, si possono produrre per ogni ettaro. Quello che localmente si chiama “aguacate” ha una resa paragonabile a un cereale, ma la sua produzione diventa problematica laddove sfrutta l’acqua di irrigazione per far fronte a grandi produzioni, tanto che in Sud America stanno generandosi crisi sociali e ambientali causate dall’impiego nella coltivazione di risorse tolte alla popolazione. Comprendere l’impatto di ogni stato sul bilancio idrico di un paese produttore di avocado, tuttavia, non è semplice. Per esempio, secondo i dati del 2016 – anno tra i più “caldi” nella diffusione della Persea americana nel mondo –, l’italia appare non essere stata coinvolta nell’esportazione dal Cile. In realtà, la rete commerciale di accordi economici è molto intrecciata, per cui si parla di impatto indiretto dovuto all’interscambio di merce in Europa. «L’import di avocado dal Cile non figura – chiarifica Elena De Petrillo, ricercatrice Water To Food – perché lo smercio avviene tramite l’olanda. L’impatto idrico olandese sul paese sudamericano nel 2016 corrisponde a oltre 101 milioni di metri cubi di acqua».
Altro parametro fondamentale nella valutazione della richiesta di risorse della coltivazione è la fonte di approvvigionamento: l’ “acqua verde” corrisponde all’acqua piovana direttamente evapotraspirata dalla pianta ed è quella già appartenente al ciclo “pioggia-suolo-pianta” ed è sfruttata maggiormente, per esempio, dalla Spagna per produrre avocado. Mentre l’“acqua blu” proviene da corpi idrici superficiali o sotterranei ed è gestibile, immagazzinabile, sfruttabile – più o meno efficientemente – attraverso le infrastrutture idriche – come fa Israele per lo stesso tipo di coltivazione. Tuttavia, il consumatore non ha possibilità di accedere a dati del genere attraverso le etichette dei prodotti. Il database disponibile sul portale di
Water To Food e la piattaforma interattiva “Play with data” consentono di esplorare questi dati, incrementando la propria consapevolezza così da aiutare il consumatore a compiere una scelta affine alla propria concezione di “etica alimentare".
Tra spostamenti di merce particolarmente interconnessi, appare complesso, dunque, venire a capo di un mercato in cui tutti siamo coinvolti. Scegliere di mangiare locale e di seguire il calendario dell’orto può fare la differenza, mentre autoprodurre – in giardino o sul balcone – frutta, verdura o anche solo le erbe aromatiche può aiutarci a comprendere il nesso acqua-cibo e così a rispettare le risorse idriche globali anche attraverso la nostra alimentazione. www.watertofood.org