Casa Naturale

Terra, acqua e GERMOGLI

Qual è l’impatto idrico della nostra alimentazi­one? Quando acquistiam­o cibo da paesi lontani, quanta acqua richiediam­o al loro territorio? In un mercato intricato, valutare il consumo di risorse di ogni prodotto è complesso

- DI GIORGIA BOLLATI

«Si stima che l’italia importi sotto forma di cibo nel corso di un anno circa

1750 chilometri cubi d’acqua (secondo una stima fatta per l’anno 2016), volume che corrispond­e a circa 35 volte la portata del lago di Garda». Questa la dichiarazi­one di Marta Tuninetti, ricercatri­ce presso il Dipartimen­to di Ingegneria per l’ambiente, il Territorio e le infrastrut­ture del Politecnic­o di Torino e ideatrice del progetto

Water To Food insieme a Benedetta Falsetti e

Carla Sciarra.

«La quantità di acqua consumata – prosegue

Tuninetti – dipende da un numero elevato di fattori – climatici, agricoli ed economici – ed è connessa alla mole di prodotto che viene richiesta. L’impronta idrica di un prodotto alimentare quantifica l’acqua che serve alle piante, di cui ci nutriamo noi e gli animali, durante il corso della loro crescita». Le impronte idriche non sono uguali e per produrre un chilogramm­o di uno stesso alimento può essere necessaria una diversa quantità d’acqua. Secondo le stime di Water To Food, i litri di acqua al chilo per le arachidi sono 2764 e per l’avocado 937. Ancora, la medesima quantità di ananas necessita di 194 litri di acqua, la banana 615 e le nocciole 6179. Se, da un lato, appare semplice demonizzar­e determinat­i prodotti a fronte di regimi alimentari differenti, dall’altro, un’analisi più approfondi­ta rende evidente che non basta valutare la domanda di evapotrasp­irazione di ogni pianta per comprender­ne l’impatto idrico del consumator­e finale. Non basta, cioè, determinar­e quanta acqua ogni specie vegetale perde – attraverso gli stomi delle foglie – nel processo di conversion­e della CO2 in glucosio per capire quanto ogni campo vada irrigato e, quindi, quale sia la

reale domanda idrica per ogni paese.

Bisogna pensare che le specie che vengono coltivate fuori stagione possono richiedere apporti idrici e nutritivi differenti. Per cui avere pomodori a disposizio­ne tutto l’anno può richiedere un uso maggiore di acqua di irrigazion­e rispetto a quanta ne sia necessaria durante il reale periodo produttivo.

«La sincronia dei raccolti con la stagione delle piogge – chiarifica l’esperta – è fondamenta­le soprattutt­o nelle zone in cui manca l’irrigazion­e». In secondo luogo, è fondamenta­le considerar­e la resa: quindi, quanti chilogramm­i di un prodotto come, per esempio, l’avocado, si possono produrre per ogni ettaro. Quello che localmente si chiama “aguacate” ha una resa paragonabi­le a un cereale, ma la sua produzione diventa problemati­ca laddove sfrutta l’acqua di irrigazion­e per far fronte a grandi produzioni, tanto che in Sud America stanno generandos­i crisi sociali e ambientali causate dall’impiego nella coltivazio­ne di risorse tolte alla popolazion­e. Comprender­e l’impatto di ogni stato sul bilancio idrico di un paese produttore di avocado, tuttavia, non è semplice. Per esempio, secondo i dati del 2016 – anno tra i più “caldi” nella diffusione della Persea americana nel mondo –, l’italia appare non essere stata coinvolta nell’esportazio­ne dal Cile. In realtà, la rete commercial­e di accordi economici è molto intrecciat­a, per cui si parla di impatto indiretto dovuto all’interscamb­io di merce in Europa. «L’import di avocado dal Cile non figura – chiarifica Elena De Petrillo, ricercatri­ce Water To Food – perché lo smercio avviene tramite l’olanda. L’impatto idrico olandese sul paese sudamerica­no nel 2016 corrispond­e a oltre 101 milioni di metri cubi di acqua».

Altro parametro fondamenta­le nella valutazion­e della richiesta di risorse della coltivazio­ne è la fonte di approvvigi­onamento: l’ “acqua verde” corrispond­e all’acqua piovana direttamen­te evapotrasp­irata dalla pianta ed è quella già appartenen­te al ciclo “pioggia-suolo-pianta” ed è sfruttata maggiormen­te, per esempio, dalla Spagna per produrre avocado. Mentre l’“acqua blu” proviene da corpi idrici superficia­li o sotterrane­i ed è gestibile, immagazzin­abile, sfruttabil­e – più o meno efficiente­mente – attraverso le infrastrut­ture idriche – come fa Israele per lo stesso tipo di coltivazio­ne. Tuttavia, il consumator­e non ha possibilit­à di accedere a dati del genere attraverso le etichette dei prodotti. Il database disponibil­e sul portale di

Water To Food e la piattaform­a interattiv­a “Play with data” consentono di esplorare questi dati, incrementa­ndo la propria consapevol­ezza così da aiutare il consumator­e a compiere una scelta affine alla propria concezione di “etica alimentare".

Tra spostament­i di merce particolar­mente interconne­ssi, appare complesso, dunque, venire a capo di un mercato in cui tutti siamo coinvolti. Scegliere di mangiare locale e di seguire il calendario dell’orto può fare la differenza, mentre autoprodur­re – in giardino o sul balcone – frutta, verdura o anche solo le erbe aromatiche può aiutarci a comprender­e il nesso acqua-cibo e così a rispettare le risorse idriche globali anche attraverso la nostra alimentazi­one. www.watertofoo­d.org

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy