RINNOVABILI: SÌ, MA FATTE BENE
Se non c’è una fonte energetica green migliore di un’altra, la conditio sine qua non è che le infrastrutture siano di qualità. Con regole che diminuiscano l’impatto che comunque può esserci. Poi, occorre considerare che sull’altro fronte, quello delle energie da fonti fossili, questo impatto ambientale negativo è inevitabile. La strategia più efficace resta il mix di rinnovabili “fatte bene” Tra queste quali sono le più spendibili in Italia?
Solare ed eolico daranno il maggiore contributo al nostro Paese. I pannelli fotovoltaici, per esempio, sono ottimi su tutto il territorio. Sarebbero produttivi sui tetti esposti a sud, est e ovest – da abbinare a pompe di calore ed edifici efficienti – e ora anche sui balconi (con il fotovoltaico da appartamento). Ma occorrono regole certe.
E fuori città?
Gli impianti sono più grandi e possono sfruttare aree industriali, ex-cave e altre zone già compromesse. Anche l’agrivoltaico rappresenta una buona strategia: unisce la produzione energetica, che diventa integrazione del reddito dell’azienda, e quella agricola per ridurre il consumo di suolo. Per avviare un impianto, è sufficiente una trasformazione di destinazione d’uso del territorio, pur mantenendone la produttività agricola.
Qual è, invece, la situazione attuale dell’energia eolica?
In Italia lo sviluppo di questa tecnologia ha preso avvio dieci anni prima che fossero redatte le Linee Guida. Ora occorre un aggiornamento delle regole. D’altra parte, esistono già molti impianti eolici a terra realizzati bene e integrati con il paesaggio. È fondamentale l’approccio partecipato con il territorio, così che un’installazione diventi volano di riqualificazione.
Quindi quali possono essere i prossimi passi?
Dovremo ancora realizzare circa 12,5 gigawatt di eolico da qui al 2030: servono molti impianti, su terra e in mare. E il potenziale dei progetti proposti solo a mare va oltre i 17 gigawatt: pensiamo che una pala a 8 chilometri dalla costa ha una grandezza percepita da terra di circa un centimetro, a 20 chilometri questa diventa di circa 0,4 centimetri. Dobbiamo correggere e migliorare la progettazione dei collegamenti alla costa, specialmente nelle zone delle Aree marine protette. L’impatto zero assoluto non è possibile, ma l’alternativa è quella del gas o del carbone: a Brindisi e Civitavecchia le centrali hanno ripreso a pieno ritmo, l’amministrazione Draghi aveva previsto due rigassificatori tra Piombino e Ravenna e altre centrali a gas erano in programma (tra le 35 e le 38). Ora bisogna vedere come si procederà, ma queste non sono soluzioni.
Ovviamente c’è anche la questione della dipendenza dall’estero…
La dipendenza è stata spostata su altri Paesi. I rigassificatori cercano di darci più autonomia, ma sono impianti previsti per 25 anni, con un nuovo posticipo degli obiettivi climatici. D’altra parte, c’è una classe di imprenditori italiani che si era dimostrata disponibile alla creazione di 60 gigawatt di energia da rinnovabili in 3 anni, senza l’uso di incentivi.
In tutto ciò anche l’idroelettrico ha difficoltà, vista la siccità di questa estate…
L’italia, negli anni Sessanta, produceva il 70 per cento dell’energia elettrica da questa fonte. La prolungata assenza di piogge ha reso difficoltoso l’approvvigionamento dagli invasi, che già hanno una capacità diminuita a causa degli accumuli di detriti sul fondale. D’altra parte, canalizzazioni, derivazioni e impianti, non progettati in ottica sistemica, hanno creato enormi problemi all’ecosistema. Se gestiti in maniera corretta, con progetti che guardano all’intero ambiente fluviale, invece, possono essere preziosi.
Cosa possiamo dire delle altre fonti rinnovabili?
Sul fronte dell’energia marina ci sono prototipi e progetti in sviluppo, ma siamo ancora in fase abbastanza iniziale. Rispetto alle bioenergie, e quindi biogas e biomassa solida, bisogna fare attenzione alle importazioni di legno estero. Si tratta di un’energia sostenibile a filiera corta, per un massimo di 70 chilometri. E con impianti di dimensioni correlate con le risorse del territorio: al sud, per centrali da 2530 megawatt termici non c’è materia prima sufficiente, mentre, sulle Alpi, quelli da 18-30 megawatt garantiscono l’energia pulita da risorse locali. Il biogas funziona per piccole o medie aziende agricole, o a livello industriale quando è prodotto, ad esempio, da discariche. Fondamentale è una gestione di qualità.
Qual è lo stato dell’arte delle installazioni?
L’italia è tra i primi dieci Paesi europei rispetto al dato complessivo di installazione di impianti eolici e fotovoltaici. Grazie, però, a un’eredità passata. Con le nuove installazioni siamo indietro. Nei primi mesi del 2022 siamo arrivati a 900 megawatt di impianti realizzati contro la media di 500 megawatt all’anno che avevamo raggiunto. Occorrono 8 gigawatt all’anno per
raggiungere gli obiettivi del 2030.
E cosa cambia per il consumatore?
I cittadini possono beneficiare in maniera diversa di tutte le fonti. Ovviamente con l’autoconsumo da fotovoltaico il risparmio economico è più immediato. Le comunità energetiche possono garantire un risparmio in bolletta fino al 30 per cento. Per la parte elettrica, il procedimento è più snello, per quella termica occorre capire se c’è già un’infrastruttura a cui allacciarsi, altrimenti questa deve essere costruita da zero.
Sarà possibile un’italia con energia interamente prodotta da rinnovabili?
Certo che sì, servono investimenti su impianti, infrastrutture ed efficienza. È fondamentale avere costruzioni meno energivore, un iter più semplice da seguire o in cui i cittadini siano guidati. Bisogna incentivare le persone a riqualificare le costruzioni e stimolare la crescita delle comunità energetiche. Ma siamo ancora in attesa di delibere attuative e continuiamo a erogare soluzioni dai costi elevati e dalla portata limitata.