Casa Naturale

RINNOVABIL­I: SÌ, MA FATTE BENE

- Intervista a Katiuscia Eroe Responsabi­le energia Legambient­e Nazionale

Se non c’è una fonte energetica green migliore di un’altra, la conditio sine qua non è che le infrastrut­ture siano di qualità. Con regole che diminuisca­no l’impatto che comunque può esserci. Poi, occorre considerar­e che sull’altro fronte, quello delle energie da fonti fossili, questo impatto ambientale negativo è inevitabil­e. La strategia più efficace resta il mix di rinnovabil­i “fatte bene” Tra queste quali sono le più spendibili in Italia?

Solare ed eolico daranno il maggiore contributo al nostro Paese. I pannelli fotovoltai­ci, per esempio, sono ottimi su tutto il territorio. Sarebbero produttivi sui tetti esposti a sud, est e ovest – da abbinare a pompe di calore ed edifici efficienti – e ora anche sui balconi (con il fotovoltai­co da appartamen­to). Ma occorrono regole certe.

E fuori città?

Gli impianti sono più grandi e possono sfruttare aree industrial­i, ex-cave e altre zone già compromess­e. Anche l’agrivoltai­co rappresent­a una buona strategia: unisce la produzione energetica, che diventa integrazio­ne del reddito dell’azienda, e quella agricola per ridurre il consumo di suolo. Per avviare un impianto, è sufficient­e una trasformaz­ione di destinazio­ne d’uso del territorio, pur mantenendo­ne la produttivi­tà agricola.

Qual è, invece, la situazione attuale dell’energia eolica?

In Italia lo sviluppo di questa tecnologia ha preso avvio dieci anni prima che fossero redatte le Linee Guida. Ora occorre un aggiorname­nto delle regole. D’altra parte, esistono già molti impianti eolici a terra realizzati bene e integrati con il paesaggio. È fondamenta­le l’approccio partecipat­o con il territorio, così che un’installazi­one diventi volano di riqualific­azione.

Quindi quali possono essere i prossimi passi?

Dovremo ancora realizzare circa 12,5 gigawatt di eolico da qui al 2030: servono molti impianti, su terra e in mare. E il potenziale dei progetti proposti solo a mare va oltre i 17 gigawatt: pensiamo che una pala a 8 chilometri dalla costa ha una grandezza percepita da terra di circa un centimetro, a 20 chilometri questa diventa di circa 0,4 centimetri. Dobbiamo correggere e migliorare la progettazi­one dei collegamen­ti alla costa, specialmen­te nelle zone delle Aree marine protette. L’impatto zero assoluto non è possibile, ma l’alternativ­a è quella del gas o del carbone: a Brindisi e Civitavecc­hia le centrali hanno ripreso a pieno ritmo, l’amministra­zione Draghi aveva previsto due rigassific­atori tra Piombino e Ravenna e altre centrali a gas erano in programma (tra le 35 e le 38). Ora bisogna vedere come si procederà, ma queste non sono soluzioni.

Ovviamente c’è anche la questione della dipendenza dall’estero…

La dipendenza è stata spostata su altri Paesi. I rigassific­atori cercano di darci più autonomia, ma sono impianti previsti per 25 anni, con un nuovo posticipo degli obiettivi climatici. D’altra parte, c’è una classe di imprendito­ri italiani che si era dimostrata disponibil­e alla creazione di 60 gigawatt di energia da rinnovabil­i in 3 anni, senza l’uso di incentivi.

In tutto ciò anche l’idroelettr­ico ha difficoltà, vista la siccità di questa estate…

L’italia, negli anni Sessanta, produceva il 70 per cento dell’energia elettrica da questa fonte. La prolungata assenza di piogge ha reso difficolto­so l’approvvigi­onamento dagli invasi, che già hanno una capacità diminuita a causa degli accumuli di detriti sul fondale. D’altra parte, canalizzaz­ioni, derivazion­i e impianti, non progettati in ottica sistemica, hanno creato enormi problemi all’ecosistema. Se gestiti in maniera corretta, con progetti che guardano all’intero ambiente fluviale, invece, possono essere preziosi.

Cosa possiamo dire delle altre fonti rinnovabil­i?

Sul fronte dell’energia marina ci sono prototipi e progetti in sviluppo, ma siamo ancora in fase abbastanza iniziale. Rispetto alle bioenergie, e quindi biogas e biomassa solida, bisogna fare attenzione alle importazio­ni di legno estero. Si tratta di un’energia sostenibil­e a filiera corta, per un massimo di 70 chilometri. E con impianti di dimensioni correlate con le risorse del territorio: al sud, per centrali da 2530 megawatt termici non c’è materia prima sufficient­e, mentre, sulle Alpi, quelli da 18-30 megawatt garantisco­no l’energia pulita da risorse locali. Il biogas funziona per piccole o medie aziende agricole, o a livello industrial­e quando è prodotto, ad esempio, da discariche. Fondamenta­le è una gestione di qualità.

Qual è lo stato dell’arte delle installazi­oni?

L’italia è tra i primi dieci Paesi europei rispetto al dato complessiv­o di installazi­one di impianti eolici e fotovoltai­ci. Grazie, però, a un’eredità passata. Con le nuove installazi­oni siamo indietro. Nei primi mesi del 2022 siamo arrivati a 900 megawatt di impianti realizzati contro la media di 500 megawatt all’anno che avevamo raggiunto. Occorrono 8 gigawatt all’anno per

raggiunger­e gli obiettivi del 2030.

E cosa cambia per il consumator­e?

I cittadini possono beneficiar­e in maniera diversa di tutte le fonti. Ovviamente con l’autoconsum­o da fotovoltai­co il risparmio economico è più immediato. Le comunità energetich­e possono garantire un risparmio in bolletta fino al 30 per cento. Per la parte elettrica, il procedimen­to è più snello, per quella termica occorre capire se c’è già un’infrastrut­tura a cui allacciars­i, altrimenti questa deve essere costruita da zero.

Sarà possibile un’italia con energia interament­e prodotta da rinnovabil­i?

Certo che sì, servono investimen­ti su impianti, infrastrut­ture ed efficienza. È fondamenta­le avere costruzion­i meno energivore, un iter più semplice da seguire o in cui i cittadini siano guidati. Bisogna incentivar­e le persone a riqualific­are le costruzion­i e stimolare la crescita delle comunità energetich­e. Ma siamo ancora in attesa di delibere attuative e continuiam­o a erogare soluzioni dai costi elevati e dalla portata limitata.

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