Gianni Leone e la bambola rotta
Cosa inventarsi per rendere unico il disco di un artista trasgressivo e sempre pronto a mettersi in gioco? Le idee sono infinite, ma una è quella giusta. Peccato che stavolta nei ragionamenti dei discografici abbia prevalso la ben più rassicurante voglia di normalità.
Fra tutti i musicisti con cui ho lavorato, Gianni Leone è uno di quelli con cui ho raggiunto una completa intesa artistica. Da tastierista de Il Balletto di Bronzo, Gianni aveva deciso di intraprendere una carriera solista, col nome di Leo Nero.
A presentarmelo fu Corrado Bacchelli, mio amico e produttore di Alan Sorrenti, il quale aveva deciso di prendere Gianni sotto la sua ala. All’epoca io ero una matricola a La Sapienza, ma già avevo cominciato a lavorare (con e grazie al mio partner-in-crime Franco Schipani) per le riviste musicali: «Nuovo Sound», «Popster», «Stereoplay», «Rockstar». Di conseguenza, mi trovai a frequentare gli artisti emergenti in quel decennio: da Alan Sorrenti (di cui diressi anni dopo il videoclip Figli delle stelle) a Franco Battiato, passando per Tony Esposito, Tullio De Piscopo, Antonello Venditti, De Gregori, Pino Daniele, Eugenio Bennato e tanti altri.
Con Gianni Leone iniziò un sodalizio artistico che si estese attraverso molti anni e che, da Roma a Hollywood, generò il content visivo di due Lp, alcuni 45 giri, centinaia di fotografie, due videoclip da me scritti e diretti – oltre che tanti viaggi, notti e giorni per il mondo coi nostri amici, dal Gianicolo a Sunset Strip. Al 1977 risale la progettazione della copertina del suo primo Lp, VERO: un album progrock in cui spiccava La bambola rotta, un brano strumentale struggente, con un potente crescendo, che ci ispirò l’immagine di un adulto/bambino in braccio alla nonna. La “nonna” di Gianni (in realtà, era la proprietaria di una merceria sotto casa mia) si lasciò coinvolgere nel “gioco” e, dato che la foto era destinata a essere la copertina dell’Lp (il cui formato, naturalmente, era quadrato), decisi di rinunciare per una volta alla mia inseparabile Nikon e di usare, invece, una macchina formato 6x6 cm.
Io e Gianni allestimmo il set e “istruimmo” la “nonna vicaria”… poi lui le saltò in grembo, mentre il mio dito premeva il pulsante dell’otturatore. Purtroppo, la foto fu giudicata troppo trasgressiva dai vertici della EMI, che, per la copertina dell’album, scelsero un’immagine più tradizionale, pur sempre allusiva, ma meno esplicita.