DEEP PURPLE IN ROCK
Harvest, 1970
IL MOMENTO IN CUI L’HARD ROCK DIVENTA ADULTO
Il 3 giugno 1970 viene pubblicato DEEP PURPLE IN ROCK, ed è il momento esatto in cui l’hard rock diventa adulto. Fino ad allora, Led Zeppelin e Black Sabbath avevano minato alle fondamenta il rock solare e pacifista di fine anni 60, ma per LED ZEPPELIN II e PARANOID si continuava a parlare di heavy blues, di un rock valvolare portato alle estreme conseguenze, e ancora nessuno aveva coniugato con convinzione la definizione hard rock. Ma sin dalla geniale copertina (i volti dei 5 musicisti scolpiti sulla roccia, come i presidenti americani nella famosa parete del monte Rushmore), IN ROCK appare un caposaldo del suono che segnerà indelebilmente la prima metà del decennio. Quando il frastuono dell’iniziale Speed King (assente nell’edizione americana) si mescola al fragore della puntina che solca il vinile, appare chiaro che sta succedendo qualcosa di epocale. La formazione è quella considerata da tutti leggendaria e per molti l’unica vera line-up dei Deep Purple, la Mark II: Ritchie Blackmore, Ian Paice, Jon Lord, Roger Glover e Ian Gillan. E sono proprio gli ultimi due, svezzati in modo anomalo pochi mesi prima sulle assi della Royal Albert Hall con CONCERTO FOR GROUP AND ORCHESTRA, a liberare finalmente tutto il loro talento e a innalzare il quintetto dove mai era stato fino ad allora. Rod Stewart dirà: “Mi avevano parlato del nuovo cantante dei Deep Purple e di come fosse un fenomeno. Quando lo sentii dal vivo, rimasi sconvolto. La sua bravura andava ben oltre quello che avessi immaginato”. L’album mette la freccia e porta finalmente i Deep Purple nelle zone alte delle classifiche di tutto il mondo: primo posto in Austria, Germania e Australia, quarta posizione per l’Inghilterra e tante altre soddisfazioni. La produzione è nelle mani dei musicisti e il futuro Re Mida della produzione, Martin Birch, è un fondamentale tecnico di studio. Nella fase di avvicinamento al disco, nel dicembre del 1969, la band diffonde Hallelujah come singolo. Scelta infelice, molto meglio Black Night, che arriva al secondo posto, e testimonia il suono reale dei Deep Purple ma curiosamente non finisce sul 33 giri, se non in alcune edizioni non angloamericane. Detto di Speed King, l’album prosegue con Bloodsucker, non tra le cose più note del gruppo, contrappuntata da una linea che detta le strutture base dell’hard rock americano che verrà. La prima facciata si chiude con Child In Time, 10 minuti che proiettano la band nell’olimpo dei giganti del rock: la soffusa melodia iniziale è argomento di discussione, in quanto sin troppo simile alla
Bombay Calling pubblicata dagli It’s A Beautiful Day alcuni mesi prima. Il resto del brano si fa via via più epico, con gli acuti spacca-timpani di Gillan che anticipano un crescendo a mo’ del Bolero di Ravel, su cui Blackmore trova lo spazio per un assolo che è tutto furore e tecnica, per poi tornare all’atmosfera di apertura. La seconda facciata piazza quattro assi in successione: Flight Of The Rat è un rock duro lineare, mai suonato in concerto, aperto da un riff mastodontico, irrobustito da ottimi assoli, con una melodia vocale di Gillan che rievoca i suoi trascorsi beat. Into The Fire ha cadenze quasi doom, anche se l’Hammond di Lord e la voce di Gillan, che addomestica un coro compatto, gli conferiscono un’atmosfera solare. Una svisata di organo introduce Living Wreck, effetto su cui si puntellano gli accordi di chitarra, tappeto per un cantato tonante. Infine Blackmore, con un assolo lento e cinematografico, anticipatore di certe atmosfere che ritroveremo nei Rainbow. A chiudere i 40 minuti di questo album epocale ci pensa Hard Lovin’ Man, che ha un inizio cacofonico, sulla linea di Speed King, per poi gettarsi in un riff in terzina dall’incedere proto-metal, che duella con quanto di più heavy e potente ci fosse sul mercato al tempo. Nel 2005, in uno dei tanti premi postumi che il rock si diverte da decenni a consegnare, DEEP PURPLE IN ROCK riceve dall’edizione inglese della nostra rivista il “Classic Rock and Roll of Honour Award”. Ma il vero premio è la stima del pubblico, documentata anche da continue vendite, nelle varie edizioni e ristampe, di cui quella in Cd del 1995 è la più completa: scaletta integrale rimasterizzata, il singolo Black Night, una versione per piano di Speed King, alcune versioni remixate e l’improvvisazione Jam Stew.