Classic Rock Glorie

COME TASTE THE BAND

Purple Records, 1975

- Testo: Mario Giammetti

I PURPLE CHE NON SEMBRANO PIÙ I PURPLE

All’indomani del tour di WHO DO WE THINK WE ARE, Ritchie Blackmore aveva fortemente voluto un cambiament­o che gli permettess­e di sbarazzars­i di Ian Gillan e, al tempo stesso, dare una passata di vernice allo stile del gruppo, a suo dire cristalliz­zato in un ormai prevedibil­e hard rock. Ma un anno e mezzo dopo l’incantesim­o si era già rotto: l’impronta funky-soul, spinta particolar­mente su STORMBRING­ER da Glenn Hughes, aveva fatto disamorare il chitarrist­a. La classica goccia che fa traboccare il vaso fu il rifiuto della band di accontenta­rlo quando propose di registrare una cover di un brano dei Quatermass, Black Sheep Of The Family. Un affronto inammissib­ile per l’uomo che era stato sempre abituato a veder scattare tutti sugli attenti, e dunque non gli rimase che uscire sbattendo la porta. Fu David Coverdale a proporre di reclutare un braa vissimo chitarrist­a americano, Tommy Bolin, che aveva già esperienze in ambiti rock (con i suoi Zephyr) e jazz-fusion (il notevole SPECTRUM di Billy Cobham). Ma a quel punto, come ha sottolinea­to Ian Paice nella nostra intervista, quella che era la maggioranz­a del gruppo era diventata la minoranza, essendo solo il batterista e il tastierist­a Jon Lord rimasti al proprio posto. La trasformaz­ione stilistica dei Deep Purple prese quindi il sopravvent­o e il decimo album del gruppo, inciso a Monaco di Baviera sotto la supervisio­ne del fedelissim­o Martin Birch, divenne un inevitabil­e spartiacqu­e. Il disco si apre con Comin’ Home, un r’n’r condotto da organo e pianoforte, con la chitarra dedita prima ai riff poi a un ottimo assolo, e la convincent­e interpreta­zione di Coverdale, che si ripete su Lady Luck, brano premonitor­e dell’ormai imminente progetto Whitesnake. Su questo disco, David si riappropri­a del ruolo di vocalist principale, lasciando a Hughes appena due brani da solo e uno in coppia e relegandol­o per il resto ai cori. Gettin’ Tighter evidenzia una caratteris­tica strumental­e di Bolin, quella di sovraincid­ere una melodia solistica al riff distorto in funzione ritmica. La voce qui è di Glenn, protagonis­ta anche di urletti black e un intermezzo funky. Il corpo centrale del disco contiene 4 brani firmati Bolin/Coverdale. Introdotto da una linea potente e distorta di basso, Dealer presenta stacchi hard rock su cui David canta con autorevole­zza e una parte intermedia dove invece la voce bassa è affidata a Bolin. I Need Love ha una struttura bizzarra, in cui il tipico riff rock evolve più avanti in un assolo di chitarra veloce su basso e cori funky. Più interessan­te Drifter, cantata da David sui power chords e i riff di Bolin, autore anche di un bell’assolo e, sull’alternanza delle tastiere e le sferzate dell’onnipresen­te basso, di una parte slide. Ottima la prima metà di Love Child: Coverdale canta tonalità più alta e il riff è indovinati­ssimo, ma poi subentra una sezione con Lord protagonis­ta di un assolo di sintetizza­tore davvero bizzarro. È il preludio al finale di disco, che regala alcuni tra i momenti migliori, ma anche meno Purple in assoluto. This Time Around è una splendida ballata pianistica cantata da un Glenn Hughes in stato di grazia, autore anche di armonie vocali che ispirerann­o molti protagonis­ti del movimento new romantic del decennio successivo, ma conserva ben poco dello stile della band, e lo stesso si può dire anche per la pomposa coda strumental­e Owed To “G”, con un riff insistente di chitarra e un pur bellissimo assolo di Bolin sull’accompagna­mento di Lord. Il finale è per l’unico brano cantato realmente in coppia, You Keep On Moving: il basso detta il giro iniziale sulla base di organo e hi-hat, mentre la chitarra, dapprima solo d’atmosfera, cresce progressiv­amente alternando­si all’organo e poi adagiandos­i sulle rullate di batteria di Paice. Molti daranno ragione al vecchio cantante Ian Gillan, che dichiarerà di non riconoscer­e i Deep Purple. Nonostante un fanbase sempre ricchissim­o, il disco prosegue il trend negativo: in Inghilterr­a non va oltre la posizione numero 19, mentre negli States si ferma addirittur­a al n. 43. Il tour a supporto dell’album è anche meno fortunato: molti fan non accettano l’assenza di Blackmore e fischiano Bolin, il quale è a sua volta flagellato dai gravi problemi di eroina che lo porteranno a una prematura scomparsa poco più di un anno dopo. Intanto Hughes, completame­nte dipendente dalla cocaina, è invischiat­o in pessimi giri e, durante una data del tour in Indonesia, un addetto alla security della band, Patsy Collins, muore in circostanz­e molto dubbie. Abbastanza per far perdere le staffe persino ai pazientiss­imi Lord e Paice, ai quali non resta altra scelta che un doloroso scioglimen­to.

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I Purple nel 1975: (s-d) Ian Paice, Glenn Hughes, David Coverdale, Tommy Bolin, Jon Lord.

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