PERFECT STRANGERS
Polydor, 1984
PAROLA D’ORDINE: RINASCERE
Quando tutti ormai avevano dato per impossibile una reunion – nel 1982 Ian Gillan aveva invano tentato di ricucire lo strappo con Blackmore –, nell’aprile del 1984 viene data notizia della rinascita del Mark II. Forti di un contratto milionario con la Polygram, che rende inutili i tentativi di RCA e CBS di accaparrarsi il gruppo, la band si ritrova in studio con l’intenzione di dimostrare al mondo che i Deep Purple hanno ancora qualcosa da dire. Gli 8 brani di PERFECT STRANGERS (con la bonus track Not Responsible contenuta nell’allora nuovissimo formato Cd e lo strumentale Son Of Alerik relegato a B-side del singolo) sono quanto di meglio si possa sperare, con tutti gli ingredienti del “Purple sound” presenti. Tutte le esperienze fatte dalla fine del
Mark II al 1984 trovano posto nel disco: Kno- cking On Your Back Door è figlia dei Rainbow di Blackmore ma “subisce” piacevolmente il trattamento Deep Purple, così come A Gypsy’s Kiss rimanda ai migliori dischi di Gillan, e Nobody’s Home addirittura cita i Deep Purple di BURN. “Volevamo produrre un disco che potesse essere considerato una versione aggiornata di MACHINE HEAD e sono molto soddisfatto del risultato finale. Abbiamo trovato il giusto accordo”: sono parole di Ritchie Blackmore e, paragoni a parte, dimostrano la reale voglia di rimettersi in gioco ricreando quell’alchimia che rese questa formazione dei Deep Purple la più amata degli anni 70. I nostri si cimentano anche in una ballad e Wasted Sunsets, se da una parte conferma l’amore di Blackmore per un suono più morbido e radio friendly, dall’altro ci permette di apprezzare Ian Gillan in una veste che forse sarebbe stata forse più congeniale a Joe Lynn Turner (Rainbow) ma che lui fa sua aggiungendo all’interpretazione una rabbia latente impossibile da ignorare. Per una volta, l’innegabile contrasto – che è principalmente caratteriale prima ancora che musicale – tra Gillan e Blackmore diventa fonte di ispirazione e di dinamica all’interno dei brani. Nella title track, Gillan parla di una seduta spiritica e cita dei cavalieri, venendo così incontro ai gusti, mai del tutto accettati, del chitarrista, che per tutta risposta offre l’hard shuffle di Mean Streak, consentendo al cantante di rac- contare l’ennesima storia di sesso e postumi di sbornia. Hungry Daze e Perfect Strangers sono forse le canzoni che indicano meglio un nuovo possibile cammino sonoro: pur mantenendo un innegabile legame con il passato, mostrano una maggiore profondità musicale, più barocca e suntuosa, figlia forse della maturità raggiunta dai cinque musicisti, che non si considerano più così giovani – sono tutti sulla soglia dei quarant’anni – e che proprio in Hungry Daze citano espressamente Smoke On The Water nel testo, definendola una canzone “già sentita” tanto tempo fa. Alla sua uscita, il disco si piazzò nelle zone alte di molte classifiche, Italia compresa (n. 4): n. 5 in Inghilterra, 2 in Germania, 4 in Giappone e un promettente n. 24 in America. Per Roger Glover, qui in veste di produttore, è un successo annunciato: “Ero sicuro che quest’album e il relativo tour avrebbero generato un grande interesse, basato essenzialmente sulla curiosità. Ma per una band, per questa band, capitalizzare solo sul valore curiosità non basta a giustificare una reunion. Quello di cui avevamo bisogno erano forza e motivazione per andare oltre, per creare curiosità e interesse per il nostro secondo disco e relativo tour. Può sembrare assurdo, ma noi avevamo la certezza del successo, ma se lo avremo anche al prossimo disco, quello sarà il vero risultato”. La posta è alta, e la band nel 1985 sembra pronta a mettersi in gioco per superare la sfida più difficile: resistere a se stessi, all’istinto conflittuale che è stato sempre alla base delle migliori e peggiori prestazioni della band. Ci vorranno quasi due anni prima che l’album intitolato THE HOUSE OF BLUE LIGHT venga pubblicato, e non saranno mesi facili per i redivivi Deep Purple.
«La posta è alta: resistere a se stessi, all’istinto conflittuale»