THE BATTLE RAGES ON…
EMI, 1993
La battuta ricorrente, sin da quando questo disco vede la luce, è che in seno ai Deep Purple la battaglia stia imperversando per davvero. Un parto travagliato che si concretizza attraverso l’ennesimo passaggio di consegne dietro il microfono: nonostante le sue forti inclinazioni melodiche, il pur buono SLAVES & MASTERS non aveva lasciato il segno in classifica, ma questo è solo uno dei motivi per i quali Joe Lynn Turner viene messo alla porta quando le lavorazioni per il successivo sono in stato abbastanza avanzato. Il venticinquennale dell’esordio discografico della band si avvicina e la casa discografica, nella speranza di massimizzare gli incassi, inizia a premere affinché l’evento venga celebrato dalla line-up storica dei Deep Purple. “C’era un solo cantante che avrebbe dato senso a tutta l’operazione”, ammette significativamente Jon Lord, spalleggiato da quasi tutti i suoi compagni. L’unico dissidente è Blackmore, tutt’altro che favorevole al reintegro del suo amico-nemico Ian Gillan. Alla fine però cede, anche perché i soldi in ballo sono tanti e l’occasione è potenzialmente fruttuosa. Arrivata dunque una tregua almeno di facciata, sopraggiungono altre difficoltà, in primis per il cantante, che si ritrova a cantare su materiale in gran parte scritto per il registro, ben diverso, del suo predecessore. Con queste premesse il rischio di un tracollo è tangibile, ma THE BATTLE RAGES ON… si difende molto bene e, anzi, in alcuni momenti tiene persino testa ai Deep Purple dei tempi migliori. La title track per esempio, dall’andamento oscuro e minaccioso, scopre subito le carte e lascia intuire la sterzata stilistica verso lidi più hard rispetto a SLAVES &
MASTERS. Ottime conferme arrivano da A Twist In The Tale, praticamente heavy metal, e dall’epica e magniloquente Anya (un brano a cui gruppi come gli inglesi Ten, che proveranno con buon successo di nicchia a mantenere vive certe sonorità nel corso degli anni 90, devono molto), purtroppo le note realmente liete si fermano qui. Non che il resto sia pessimo, ma per lunghi tratti riflette un senso di mestiere che ben rappresenta la tribolata situazione di cui è figlio il disco. I risultati sono comunque relativamente positivi: in classifica, almeno in Europa (oltreoceano le orecchie di tutti sono ormai rivolte a Seattle e dintorni), il confronto con il disco precedente è vinto, e anche il tour fa registrare ottimi numeri, nonostante dopo pochi mesi gli ennesimi screzi portino Blackmore di nuovo fuori dalla band, sostituito per il resto dei concerti nientemeno che da Joe Satriani. Sulla storica formazione Mark II il sipario cala definitivamente, ma è il preludio all’ennesima rinascita.
TORNA GILLAN ED È NUOVAMENTE TEMPESTA