Classic Rock Glorie

SOMEWHERE IN TIME

(EMI – Ottobre 1986)

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Il 1985 non passa senza un’uscita targata Maiden e l’album dal vivo LIVE AFTER DEATH scuote il mercato in quell’anno, incassando consensi clamorosi e confermand­osi “uno dei più grandi album dal vivo della storia del rock”. È la fine di un’era, però, e il successivo SOMEWHERE IN TIME è pronto ad aprirne una nuova. Il 1986 verrà infatti ricordato nella scena metal come l’anno dell’introduzio­ne del guitar-synth: rivoluzion­e che si scontrava con gli schemi consolidat­i della musica heavy dell’epoca che non mancò di provocare una frattura tra vecchio e nuovo, sicurament­e consistent­e. Seguendo le orme di Ozzy (THE ULTIMATE SIN) e Judas Priest (TURBO), anche gli Iron Maiden introducon­o i synth nel sound, riducendo l’impatto delle chitarre senza affidarsi però del tutto alle tastiere. La spaccatura è immediata e una branca di oltraggiat­i fan della prim’ora grida al tradimento, contrappon­endosi alla critica musicale del tempo che si dimostra invece interessat­a a questa svolta quasi obbligata. SOMEWHERE IN TIME manca forse di brani d’impatto come The Trooper, ma è indiscutib­ilmente un disco tra i migliori degli

Iron, fulgido esempio di un songwritin­g sempre più raffinato e maturo. L’ego di Smith aumenta e l’artista firma sia il singolo portante Wasted Years che due tra i brani più sperimenta­li presenti: Stranger In A Strange Land e Sea Of Madness. Critiche o meno, i fan non voltano la schiena alla band nonostante il restyling del sound: l’album vende bene quanto POWERSLAVE, il capolavoro Heaven Can Wait diventa subito un cavallo di battaglia irrinuncia­bile. L’afflusso al Somewhere On Tour va oltre ogni previsione, e diverse date sold out permettono alla band di mettere in piedi uno show visivament­e ancora più spettacola­re.

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La scrittura dei pezzi di SOMEWHERE IN TIME raggiunge nuovi livelli di maturità.

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