DANCE OF DEATH
(EMI – Settembre 2003)
Fatta pace con i fan e sistemate le cose anche con loro stessi, agli Iron non rimaneva che fare un altro album. La strada sembrava in discesa, ma era una discesa piena di curve: non ci si deve occupare di accelerare, ma gli errori si pagano più cari. Il margine in cui la band poteva muoversi con il tredicesimo album era stretto: era importante mantenere l’impatto di BRAVE NEW WORLD, ma non rinnegare l’input progressivo avvenuto da SEVENTH SON OF A SEVENTH SON in poi, evitando al contempo di copiare se stessi. Nonostante le difficoltà, DANCE OF DEATH supera gli ostacoli, spendendo però tutte le energie nel cercare di farlo. Il risultato è un album che formalmente non mostra errori tra quelli che si potevano commettere – salvo, forse, la brutta copertina – ma che a livello di songwriting ‘spicca’ di meno del predecessore. La struttura è simile a quella di BRAVE NEW WORLD e un paio di brani dal forte piglio live introducono le danze, ma già dalla terza traccia si assiste a un pezzo più lungo e diluito come No More Lies, che rimanda allo stile degli Iron più progressivo. La titletrack è però un piccolo capolavoro del nuovo corso, e la coppia Paschendale/Montsegur entra nei favori di molti grazie ai testi basati su avvenimenti storici, un classico della band. Una parziale novità la si trova in Journeyman, unico brano esclusivamente acustico in carriera dei Maiden, ma per il resto il disco si muove su coordinate del tutto coerenti con BRAVE NEW WORLD, mostrando un cammino all’insegna della continuità.