THE BOOK OF SOULS
Un disco lungo come una partita di calcio, compresi un paio di minuti di recupero. Tutto è iniziato a Parigi, verso la fine dell’estate 2014, ai Guillaume Tell Studios, a uno sputo dagli Champs-Élysées. Un disco che sin dalla copertina la dice lunga sul suo contenuto: i Maya credevano che l’anima sopravvivesse alla morte del corpo e qui Eddie campeggia su uno sfondo minimalista, a concentrare su di sé – e quindi sulla band – tutta l’attenzione dello spettatore. Come a dire: andiamo subito al sodo…
THE BOOK OF SOULS è un disco intenso, che richiede ben più di un ascolto per entrare a fondo nella sua anima. Non abbiamo la pretesa di riuscire a raccontarvelo tutto in queste poche righe, ma speriamo di trasmettervi l’emozione che abbiamo provato.
Disco 1 1. IF ETERNITY SHOULD FAIL (DICKINSON) 8:28
Composta interamente da Bruce Dickinson – per il suo prossimo disco solista – If Eternity Should Fail inizia con un vago sentore western. Ideale prosecuzione artistica di THE FINAL FRONTIER, imposta il ritmo del disco, facendo capire con i suoi otto minuti e mezzo il tenore dell’imminente ascolto. Parla di un uomo e di uno sciamano, della genesi della Terra e della pazzia della razza che la popola. Il solido intermezzo ritmico di metà canzone inaugura un sano headbanging. Il parlato della fine del brano introduce il personaggio di Dr. Necropolis, supercattivo antagonista della saga immaginata da Bruce.
2. SPEED OF LIGHT (SMITH/DICKINSON) 5:01
Primo singolo, video e brano che ricorda una certa Los Angeles anni Novanta, evidentemente cara ad Adrian Smith che ne firma la genesi con Bruce. Sentendo il cantante, questo bel pezzo tirato è nato in un’unica session di quarantacinque minuti. Il messaggio si mantiene ottimista: “L’umanità non ci salverà, scivoliamo nella notte alla velocità della luce”.
3. THE GREAT UNKNOWN (SMITH/HARRIS) 6:37
Harris mette le cose in chiaro sin da subito aprendo personalmente il brano, per poi lasciare spazio a un emozionante arpeggio di chitarra e a un ritmo molto coinvolgente. Un pezzo che parla di battaglie e della dannazione che ci colpirà tutti, il mondo cadrà e rimarremo soli a seguire la via per il Grande Mistero.
4. THE RED AND THE BLACK (HARRIS) 13:33
Steve Harris dimostra tutto il suo amore per le canzoni strutturate in quella che è forse la composizione più ostica da digerire in un primo ascolto. Introduce una chitarrona acustica tra lo spagnolo e il darkeg- giante e ricorda a tratti un altro suo capolavoro, Alexander The Great. Il quattro quarti serrato obbliga Bruce a un cantato veloce con pochi fiati, che recupera nei cori da stadio. “Quando il Re Nero e la Regina Rossa si scontrano, il destino e l’ipocrisia la fanno da padroni. Guarda nel profondo della mia anima e spaventati, io ho bisogno di qualcuno che mi salvi”.
5. WHEN THE RIVER RUNS DEEP (SMITH/HARRIS) 5:52
Un brano bello frizzante, con Bruce che aggredisce l’ascoltatore dalla prima nota. Gli a-solo si sfidano con risultati molto contrastanti; corposo lo spazio dedicato alle sessioni strumentali con cambi di tempo repentini nella seconda parte, che lasciano Dickinson un po’ in ombra: “Cerca a fondo nella tua mente se devi vendere a poco la tua anima, ma ricorda che non ti puoi nascondere da un patto col Diavolo, non hai il tempo per piangere perché il fato non è nelle nostre mani”.
6. THE BOOK OF SOULS (GERS/HARRIS) 10:27
Inizia con un arpeggio lento e zoppo la title track firmata da Harris e Gers, prima di riversarsi in un maestoso sound epico che sembra uscito direttamente da SEVENTH SON OF A SEVENTH SON. Dopo una parte centrale in continua accelerazione impreziosita da virtuosi a-solo, torna all’arpeggio per la chiusura. “Nelle gallerie dove riposano i sovrani accompagnati dai sacrifici rituali si svolgerà la battaglia per l’ultimo viaggio verso il ricco aldilà”.
Disco 2 7. DEATH OR GLORY (SMITH/DICKINSON) 5:13
Il secondo disco si apre con un giro di chitarre ossessivo e un basso percussivo che accompagnano il tipico cantato di un Bruce in grandissimo spolvero. La struttura del pezzo si ripete all’infinito, in una gara di velocità che si apre sul ritornello studiato apposta per i cori da stadio. Bruce fa allusione al suo triplano rosso e ci dà una lezione di strategia aerea raccontando come “vedo il nemico che non mi vede, prima sparo al mitragliere per poi guardarli mentre si avvitano verso l’inferno”. 8. SHADOWS OF THE VALLEY (GERS/HARRIS) 7:32
L’intro di questo pezzo viene direttamente dal fingerin’ di Wasted Years, checché ne dica Bruce. Dopo una parte quasi parlata, si entra nel vivo di un brano epico, ossessivo e ripetitivo nel riproporre le melodie all’infinito. Torna il coro da grandi arene a seguire il messaggio del testo: “La forza e il coraggio sono la cura per tutte le malattie; svegliandomi nella Valle della Morte domando a chi incontro delle cose, a quelli le cui vite sono finite prima ancora di iniziare”.
9. TEARS OF A CLOWN (SMITH/HARRIS) 4:59
Brano che Steve ha dedicato alla memoria dell’attore suicida Robin Williams, attacca subito senza fronzoli, in levare. Toccante e arrabbiato allo stesso tempo. In una stanza affollata il clown cerca di far sorridere, “ma la sua maschera non riesce a nascondere l’affiorare dei suoi veri sentimenti”.
10. THE MAN OF SORROWS (MURRAY/HARRIS) 6:28
Lentone di arpeggi, costruito con grandi armonie vocali aumenta progressivamente il suo battito con le ritmiche incalzanti sotto alla voce. Sono tastiere quelle che sentiamo poco prima che il brano si apra? Inno alla semplicità, ottenuto più togliendo strumenti che stratificandoli. Verso il finale le atmosfere si perdono un po’ in uno sfumato onirico: “La solitudine e il dolore per gli uomini in catene che vivono in un mondo di bu
IRON MAIDEN THE BOOK OF SOULS (Parlophone Records - 4 settembre 2015)
gie senza sogni, affogati in una nebbia di finte verità, deve finire; bisogna tornare a respirare, ad aprire gli occhi scacciando il buio a colpi di luce”.
11. EMPIRE OF THE CLOUDS (DICKINSON) 18:01
Rock opera firmata da Bruce, inizia con un piano strimpellato quasi orientale. Entrano progressivamente gli archi, accompagnati da una batteria appena accennata, sino a che i morituri si imbarcano sul loro Fantasma d’Argento, il dirigibile protagonista di questa novella in musica. Il crescendo accompagna il sorgere del sole rosso sul cielo blu, col decollo del Titanic dei cieli: bisogna partire e avere fede. Con l’arrivo della tempesta, impulsi e battiti scandiscono la giga delle chitarre e le veloci scale di quinta che si rincorrono per farvi venire il fiatone. Finalmente Nicko scatena tutta la sua perizia nei continui cambi di ritmo e fraseggi che lasciano posto ai fiati e agli a-solo delle tre chitarre. Musichetta angosciante per sottolineare il terrore che anticipa la tragedia, rappresentata da effetti sonori e feedback mentre le lamiere del dirigibile si contorcono, sino alla voce narrante che racconta la morte dell’aeronave e con lei quella dell’Impero. A degno finale, torna il pianoforte con L’angelo dell’Est che accompagnerà nell’oblio l’Impero delle Nubi.