Classic Rock Glorie

“SINFONIE E CONCERTI, QUELLA ROBA LÌ”

La magnificen­za di Supper’s Ready, la suite prog più celebrata della storia.

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Steve Hackett: “Non ricordo di chi fu l’idea, ma arrivammo alla conclusion­e che potevi unire due pezzi di musica assieme, non importa quanto fossero diversi gli stili, se il passaggio che li legava era abbastanza robusto. Per cui, ci siamo messi a lavorare sull’idea di un continuum musicale. E ovviamente questo approccio un po’ ‘vagabondo’ – anche se qualcuno l’ha poi criticato – dà all’ascoltator­e un senso di avventura, quasi di odissea. I vari temi emergono più volte. Prima li ascolti con un arrangiame­nto minimale, poi con un potentissi­mo arrangiame­nto al mellotron. In un certo senso, quando ritornano nella struttura della suite è come quando i ricordi si addolcisco­no col passare del tempo. Sinfonie e concerti sono costruiti così”. “Per cui è vero che c’era un ammiccamen­to al passato, ma Supper’s Ready era anche rivolta al futuro. All’epoca i gruppi non realizzava­no collage sonori come quello. Credo che sia stato il brano più lungo che un gruppo rock abbia mai suonato live. Rispecchia­vamo la libertà che la musica (e l’educazione) aveva negli anni 60, per cui in quel pezzo infilammo elementi surrealist­i, psichedeli­ci, sperimenta­li, e anche aspetti quasi oscuri”.

Tony Banks: “La maggior parte della sezione Apocalypse In 9/8 l’avevo pensata come assoli di tastiera. Poi Peter ha iniziato a cantarci sopra, e come sempre i suoi testi ebbero bisogno di tempo per essere capiti. All’inizio, ero incazzato perché stava cantando sopra il ‘mio’ pezzo. Poi mi resi conto che in quel modo era perfetto. Coglieva tutta la forza che cercavamo di ricreare, specialmen­te nella sezione ‘six-six-six’. Gli accordi di per sé erano già molto intensi, ma quello che fece Peter portò il tutto a un livello superiore. Quei 30 secondi credo siano il nostro apice”.

Mike Rutherford: “Fu un colpo di fortuna. Di solito, non ti rendi pienamente conto di quello che stai facendo. La sezione finale arrivò quasi da sola, senza problemi, come spesso succede con la grande musica. Ci lavorammo un paio di mesi, ma l’atto in sé di realizzare il brano fu molto semplice. Se ci metti troppo tempo, è sempre un brutto segno. Quando Pete inserì il testo ‘six-six-six’, fu un momento molto speciale. Mi è successo solo due volte nella storia dei Genesis, momenti in cui il livello si innalza grazie a una voce inserita su una base strumental­e già forte, e il risultato non è quello che ti immaginavi. L’altra volta è stata con Phil, nella sezione mediana di Mama. Stessa intensità”.

Tony Banks: “Nei primi anni 70 eravamo fortunati. I Beatles avevano iniziato ad allargare gli orizzonti, poi si erano tirati indietro. Ma avevano aperto la strada. A quel punto, li seguirono gruppi come Pink Floyd, King Crimson e Family. Pensavamo: ‘Possiamo fare quello che ci piace!’. Nessuno di quei dischi vendette molto, ma crearono un seguito. Prova oggi a dare al pubblico un brano di 23 minuti che esplode al quindicesi­mo, e che va ascoltato con attenzione per tutti i 14 precedenti per apprezzare davvero quell’unico quindicesi­mo minuto. Sarebbe impensabil­e.

Cose diverse, per tempi diversi”.

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