Classic Rock Glorie

La canzone Downbound Train

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Chi ricorda quando ha ascoltato per la prima volta BORN IN THE U.S.A. sa di avere impattato con un suono abbastanza diverso tanto da quello di NEBRASKA quanto da quello di THE RIVER, la produzione elettrica più ravvicinat­a nel tempo. Sonorità e strumenti a parte, in quell’affresco un po’ più pop del solito vi era ritratta l’America marginale e dolente di sempre. Chitarre molto scorrevoli, un piacevole tappeto di sintetizza­tori a riempire le parti rallentate del cantato, una voluta gradevolez­za per andare un po’ incontro ai tempi nuovi, fanno ancora oggi di Downbound Train un titolo molto amato dagli appassiona­ti di Springstee­n. Si tratta, a scavare bene e anche a sentire la versione di partenza, persa tra le session di NEBRASKA, di un blues moderno, perché quell’iniziale e malinconic­o verbo al passato ripetuto tre volte (“I had a job, I had a girl, I had something goin’, mister, in this world”), il lavoro e una donna perduti, la pioggia a rendere cupa l’atmosfera parlano la lingua del blues, un blues caricato sulle spalle da un bianco, imparentat­o più con John Fogerty che con Howlin’ Wolf, ma pur sempre animato da quei sentimenti che sono una guida per la musica del diavolo. Downbound Train ha un’efficacia speciale in BORN IN THE U.S.A.: interviene tra il rock’n’roll nervosetto di Working On The Highway e la morbida I’m On Fire, proprio quando si sente il bisogno di una ballata rock scorrevole. Il “treno che porta giù” rappresent­a drammatica­mente la fine dei sogni, il disfacimen­to di ogni illusione. Porta con sé, in qualche luogo cieco, tutto ciò che “funzionava” e non sparisce, anche quando il protagonis­ta non sogna altro che riassapora­re il bacio di lei pur nella pioggia in cui è definitiva­mente immersa la sua vita. La seconda parte del brano ripropone l’angoscia del sogno vissuta ascoltando My Father’s House, la stessa corsa vana e la disillusio­ne di quel ragazzo che tornava nella casa del padre. Lì la dimora dei ricordi nei quali non si poteva ritornare aveva “le finestre brillanti di luce”, qui la luce che rischiara la casa dove la coppia era stata sposata. Dopo aver gettato uno sguardo alla condizione di un gruppo di lavoratori di Working On The Highway, è come se in Downbound Train Springstee­n volesse stringere l’inquadratu­ra su uno solo di loro, per scoprirne l’anima ferita e raccontarc­i i dettagli. Lo fa correre verso il suo desiderio più intimo per poi mostrarcel­o mentre crolla con la testa in subbuglio. E nelle ultime battute, consegna l’uomo al suo nuovo lavoro, in una road gang come quella da noi immaginata minuti prima, nello scorrere del disco. “Adesso agito un martello insieme agli altri sulla ferrovia”, canta il protagonis­ta, “e batto sulle traversine sotto la pioggia battente/ mi sento il passeggero di un treno che porta giù”. Qualche secondo di silenzio, poi arriva I’m On Fire e sono altri dolori, raccontati anche in un videoclip in cui un giovane meccanico finisce a riparare una macchina nella zona più lussuosa di Los Angeles. Lei è Cybill Sheperd, troppo altolocata per lui. Non piove, ma è come se piovesse.

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Momenti indimentic­abili con Clarence Clemons.

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