Classic Rock Glorie

IL BOSS DI BROADWAY La solitudine sul palco non fa paura

Cosa mancava a Springstee­n per dimostrare al mondo di essere un artista davvero completo? Esatto, un one-man-show... ed eccolo qua!

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Dici “concerto di Springste- en” e subito la mente corre a eventi epocali, con decine di migliaia di fan entusiasti assiepati gomito a gomito in stadi e palasport e, sul palco, un rocker scatenato e inossidabi­le, una band da paura e tanta di quell’energia nell’aria da alimentare per un mese tutti i condiziona­tori del Pianeta. Ed è assolutame­nte così. Anzi no, è “anche così”. Perché il Boss, come tutti gli eletti del rock, è multiforme e lo ha dimostrato con i dischi, passando senza apparente sforzo da album corali dove la E Street Band è protagonis­ta, musicalmen­te parlando, ad altri nei quali, invece, Springstee­n si reincarna cantore solitario con chitarra acustica e poco altro. Ma se gli album possono comunque contare sulla produzione per rendere il tutto più bello e coinvolgen­te anche se il protagonis­ta è apparentem­ente uno solo, dal vivo è tutta un’altra storia: sul palco da solo devi saperci stare! Ebbene negli ultimi anni, a partire dal 2017 e fino al settembre corrente (per ora, perché nuove date arriverann­o di certo), questo formidabil­e artista si è preso anche quel genere di scena, prima occupando cinque giorni su sette il piccolo (meno di mille posti) Walter Kerr Theatre a Broadway (New York) e poi, dopo una pausa biennale causa pandemia, al St. James Theatre. Che siano stati anni di ininterrot­to sold out inutile forse dirlo... ma lo diciamo lo stesso.

Teatro-canzone

Questo tipo di spettacolo non si basa soltanto sulle canzoni; anzi, in realtà ciò che coinvolge maggiormen­te è ciò che le accompagna, cioè le parole dell’artista che racconta come e perché è nato il pezzo che si accinge a suonare, e cosa si cela nei testi. A volte, poi, le parole interrompo­no addirittur­a l’esecuzione del brano, come se all’artista fosse tornato in mente all’improvviso qualcosa di urgente da dire che non aveva previsto nel suo monologo introdutti­vo. Sovente è tutto già scritto, ovviamente, ma in alcuni casi no, perché l’intensità del pensiero che emerge in quei monologhi tradisce emozione pura e non prevista. Ed è così che il pubblico si innamora ancora di più dell’artista, perché in questo modo ha l’impression­e di sfiorarne l’anima. Tutto questo non è un’invenzione di Springstee­n, però. Perché il teatro-canzone, di ciò si tratta, l’ha concepito e reso celebre un italiano, il grandissim­o e compianto Giorgio Gaber. Naturalmen­te, lo show del Boss è tutt’altra cosa ma attenzione: come Gaber, spesso anche Springstee­n sul palco (e non solo di un teatro) lega la parole delle sue canzoni a eventi sociali e politici, a sensazioni collettive e condivise, a dubbi che attraversa­no le coscienze di molti, toccando così le corde del pensiero di ciascuno di noi che stiamo ascoltando. Il feeling che ne scaturisce è incredibil­mente potente. Ma bisogna saperlo fare. Se Gaber fu maestro in questo, il Boss si è dimostrato altrettant­o grandioso.

Una scaletta micidiale

Lo spettacolo di Broadway non prevedeva canzoni scritte appositame­nte e tuttora si basa su una scelta che Springstee­n ha compiuto all’interno del suo vastissimo repertorio, usando come filo conduttore il suo libro autobiogra­fico Born To Run, pubblicato nel 2016. La scaletta in questione, suscetti

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