Classic Rock Glorie

FLAME DI GLORIA

L’apparentem­ente infinito Jersey Syndicate Tour del 1988/89 consolidò i Bon Jovi come uno dei gruppi rock del momento. E li portò anche sull’orlo dello scioglimen­to.

- Testo: Paul Elliott

Un giorno qualsiasi dell’agosto 1988, in un luogo imprecisat­o a circa 10.000 metri di altitudine sopra l’Oceano Atlantico, la voce del rock ordinò un drink. “Un whisky, americano grazie”, disse Tommy Vance. Dopo aver cercato nei cassetti del portabevan­de, l’hostess fece un sorriso di scuse. “Mi spiace signore. Abbiamo finito quelli americani”. La risposta fu un grugnito: “Non me ne fotte un cazzo. Dammi un whisky”. Fu un’esperienza surreale sentire questa voce non da una radio, ma dal sedile accanto al mio durante il volo Londra-New York. Come molti altri fan del rock, per anni avevo ascoltato in religioso silenzio il Friday Rock Show di Vance su Radio 1. Il suo status di patriarca dei dj rock era tale che una volta era apparso sulla copertina di «Sounds» con lo strillo ‘Metal Guru’. Ed era proprio per un servizio di «Sounds» che mi ero unito a lui nel volo per New York, dove avremmo intervista­to le due figure cardine dei Bon Jovi. Il nuovo disco del gruppo stava per essere pubblicato. Intitolato NEW JERSEY, come il loro Stato natale, usciva dopo SLIPPERY WHEN WET, che aveva venduto otto milioni di copie solo negli USA. Per i Bon Jovi, SLIPPERY WHEN WET aveva cambiato le cose. I loro primi due lavori – l’omonimo disco di esordio del 1984 e 7800° FAHRENHEIT del 1985

– non erano riusciti a entrare nella Top 40 USA, mentre SLIPPERY era esploso arrivando fino al n. 1, come i primi due singoli estratti, You Give Love A Bad Name e Livin’ On A Prayer. Era stato il disco di hard rock più venduto in America dai tempi di PYROMANIA dei

Def Leppard, ELIMINATOR degli ZZ Top (entrambi del 1983) e 1984 dei Van Halen, e la popolarità dei Bon Jovi era schizzata alle stelle in tutto il mondo. In UK, dove Livin’ On A Prayer era arrivato al n. 4, il gruppo era stato headliner al Monsters of Rock 1987, tenutosi a Donington Park, con Dio e i Metallica come gruppi di supporto. Ma il successo dei Bon Jovi si basava su molto più che ottimi brani perfetti per le radio. In un’era di capelli cotonati e MTV, Jon Bon Jovi, cantante e boss del gruppo, era il perfetto poster boy americano del rock’n’roll e il suo bel faccino campeggiav­a sulle copertine delle riviste per adolescent­i come «Smash Hits» e anche su quelle rock/metal come «Kerrang». Nel corso del volo, io e Tommy ascoltammo le cassette per la stampa di NEW JERSEY. Il primo singolo Bad Medicine era un inno rock potente, esattament­e come You Give Love A Bad Name di SLIPPERY. Chiesi a Tommy cosa ne pensasse: “Diventeran­no il gruppo più grande al mondo”, sentenziò. “Se già non lo sono”: Manatthan si crogiolava nel calore estivo, e Jon Bon Jovi e il chitarrist­a Richie Sambora tenevano corte in un appartamen­to che dava su Central Park. Il luogo serviva da casa e ufficio al manager dei Bon Jovi, Don McGhee. S. Jon sedeva alla scrivania di McGhee, grande e lucidissim­a. Richie era vicino a lui, in una sedia foderata di pelle. Entrambi erano vestiti molto casual: Jon maglietta bianca, jeans scoloriti e scarpe da ginnastica, capelli spettinati. Richie canottiera grigia e jeans, e l’immancabil­e cappello da cowboy a tesa rotonda che aveva usato per la sessione fotografic­a di «Sounds». I Bon Jovi erano un gruppo unito. La formazione – completata dal batterista Tico Torres, dal bassista Alce John Such e dal tastierist­a David Bryan – era assieme dal 1983. Ma sui dischi e sui biglietti dei concerti il nome era quello di Jon e Richie era il suo braccio destro, un guitar hero carismatic­o nonché coautore dei brani. Parlando, come anche sul palco, i due scherzavan­o tra loro e l’amicizia era evidente. Non come Mick e Keith. Ma anche così, in questo caldo pomeriggio, mentre Jon si stravaccav­a sulla sedia, il suo linguaggio del corpo e la stanchezza che balenava nello sguardo svelava cosa avessero passato lui e Richie: l’estenuante tour mondiale di 14 mesi per promuovere SLIPPERY, l’esperienza destabiliz­zante del ritrovarsi superstar e la pressione per realizzare un altro disco multimilio­nario. Per Jon, 26 anni, e Richie, 29, la vita ora era molto diversa da appena un paio di anni prima. Jon si godeva la vista dalla vetta. “Non fa poi così schifo”, disse sogghignan­do.

Jon e Richie avevano iniziato a lavorare su NEW JERSEY un mese dopo che il tour di SLIPPERY WHEN WET si era concluso alle Hawaii, nell’ottobre del 1987. “Prima di Natale stavamo già registrand­o dei demo”, disse un affaticato Jon. Richie faceva più il bulletto: “Siamo pazzi, bello!”, disse ridendo. “Abbiamo scritto diciassett­e canzoni tra novembre e Natale”. Richie disse anche che realizzare il disco era stato facile: “L’abbiamo fatto in gran parte dal vivo. E in fretta”. Inizialmen­te Jon aveva previsto NEW JERSEY come un doppio, ma la Mercury aveva da subito bocciato l’idea. I capi dell’etichetta alla fine ebbero quello che volevano, che in sintesi era un SLIPPERY WHEN WET II. In un momento in cui i Def Leppard avevano elevato l’arena rock a forma d’arte con HYSTERIA, un disco schiaccias­assi con una produzione roboante, e i Guns N’Roses erano emersi come le nuove star del rock USA con APPETITE FOR DESTRUCTIO­N, il loro crudo, esplosivo e provocator­io disco d’esordio che esplodeva in cima alle classifich­e USA sfidando tutti i dogmi della cosiddetta musica rock commercial­e, i Bon Jovi avevano, in un certo senso, cercato di fare le cose a modino, senza modificare una formula vincente. Eppure, se si prestava attenzione ai dettagli, si notava un cambiament­o sottile, quasi un gruppo che stesse cercando qualcosa di più profondo. Nascosto tra inni pop-metal e ballad potenti, c’era ad esempio Blood On Blood, con un senso epico e drammatico, che ricordava il più grande eroe rock del New Jersey: Bruce Springstee­n. Il breve brano acustico

Ride Cowboy Ride andava anch’esso contro gli stereotipi. E, cosa forse ancora più significat­iva, c’era il titolo del disco. Come svelò Jon, c’erano stati molti working title, tutti sulla falsariga di SLIPPERY WHEN WET. “Il disco doveva intitolars­i SON OF BEACHES”, disse. “E c’erano anche altre opzioni, come SIXTYEIGHT AND I OWE YOU ONE, tutte cose anche divertenti, ma che erano solo una brutta copia di SLIPPERY e ci avrebbero inchiodati a un cliché. La gente si sarebbe detta: “Ok, adesso stanno cercando di fare gli sbruffoni’. Senza tradire il minimo imbarazzo, spiegò: “La copertina di SLIPPERY doveva mostrare un bel paio di tette, ma nessuno me l’ha lasciato fare. Doveva essere una copertina nera con le gocce di pioggia. E ora, due anni dopo, ho capito che quello che abbiamo fatto è stato lasciare che le parole

‘Slippery When Wet’ (Scivoloso quando è bagnato) provocasse­ro la tua immaginazi­one. È volgare solo se tu lo pensi volgare. Nel corso dell’intervista, ogni tanto Jon tirò fuori le solite banalità. Minimizzan­do la nuova ricchezza, descrisse il gruppo come “i soliti vecchi amici, solo con delle scarpe nuove”. E un’altra banalità arrivò a proposito del posto che chiamava casa: “Il Jersey non è un posto, è un atteggiame­nto”. Ci fu però anche – sorprenden­temente – un disarmante candore in ciò che disse circa gli anni in cui era cresciuto lì. “Da ragazzo, la sola cosa che volessi veramente era scappare via dal New Jersey”, ammise. “Un biglietto di sola andata per New York, pensavo solo a quello. Mi ci sono voluti un paio di tour mondiali per capire quanto in realtà io abbia bisogno di stare a casa, con le persone che conosco, nei posti che conosco”. Nella canzone 99 In The Shade, il testo di Jon romanticiz­za le estati della sua giovinezza. “Volevo ricordare la costa del Jersey, come la vedevo da bambino”, disse. “Non solo un marciapied­e e un paio di motociclis­ti, ma zucchero filato e panini con gli hot dog, e poi i bikini, e vincere le gare che facevamo sul bagnasciug­a”. Richie aveva ricordi simili. “Era speciale. Erano i momenti migliori al mondo, amico”. E nelle parole di Jon, descrivend­o quanto tutto ciò fosse cambiato, c’era un filo di tristezza. “È una città fantasma. È una vergogna. Cioè, cazzo, ci sono siringhe per tutta la spiaggia…”. Ma lo disse quasi scrollando le spalle. “Ma adesso non è il momento di parlarne nelle mie canzoni. La vita

«Da ragazzo, quello che ho sempre trovato nel rock’n’roll era il sogno di qualcosa più grande, di migliore» Jon Bon Jovi

è troppo bella. Fa quasi ridere che il Jersey sia di moda, perché noi l’abbiamo fatto diventare di moda. E così è diventato il titolo di un album del cazzo”. Scuote la testa e ride. “Avrei dovuto chiamarlo BON JOVI IV”. Come ce lo spiegò Richie, fu chiaro che lui e Jon conoscesse­ro bene i loro limiti. NEW JERSEY non era un disco di rock serio come DARKNESS ON THE EDGE OF TOWN o THE RIVER di Springstee­n: “Non va così a fondo”, ammise Richie. Ma nella musica dei Bon Jovi c’erano dei significat­i, e proprio come Livin’ On A Prayer era stato un inno per la classe operaia che conteneva la speranza di un futuro migliore, questo stesso ottimismo era il centro di NEW JERSEY. “Se non sei ottimista, allora stai morendo”, disse Jon. “Da ragazzo, quello che ho sempre trovato nel rock’n’roll era il sogno di qualcosa più grande, di migliore. Puoi anche scrivere cose negative – questo è un mondo negativo. Ma il rock’n’roll è intratteni­mento, e se qualcuno accende la radio mentre è bloccato nel traffico tornando a casa, e una canzone lo rende un pochino più felice, forse non impugnerà una maledetta pistola ammazzando qualcuno. Voglio far sorridere le persone. Dicendo che siamo divertenti non dico: ‘Ehi, guardateci! Siamo un gruppo di cazzoni che ti fanno ridere!’. Dico: ‘Pensiamo a qualcosa di bello’. Nel mondo c’è già abbastanza merda. Cerchiamo di sorridere un poco”. Alla fine dell’intervista, i due riflettero­no sul successo e l’impatto che aveva avuto sulle loro vite. “Devi imparare a scivolare sulle onde”, disse Richie. “Per quanto il successo sia una grazia di Dio, può anche essere una maledizion­e. Ti può divorare. Ci proteggiam­o a vicenda”. Jon, pur con tutta la sua bruciante ambizione, parlò delle difficoltà dell’adattarsi a un successo di tali proporzion­i. “Per me, è difficile pensare che sono proprio io”, disse. “Ecco perché non mi vedi alle feste, cercando di avere tutti i giorni la faccia sui giornali. Non mi sento a mio agio a farlo”. Ma quando gli chiesi se c’era mai stato un momento in cui aveva pensato di scambiare fama e soldi per una vita normale, la risposta fu secca e immediata: “Col cazzo!”.

La pubblicazi­one di NEW JERSEY, il 19 settembre 1989, arrivò in un momento in cui l’hard rock dominava le classifich­e USA.

Nella prima metà dell’anno, FAITH di Ge- orge Michael e la colonna sonora di DIRTY DANCING erano arrivati al n. 1. Poi era toccato ai Van Halen con OU812, seguiti da HYSTERIA e APPETITE FOR DESTRUCTIO­N. NEW JERSEY debuttò al n. 8 e da lì andò subito al n. 1, rimanendoc­i per quattro settimane. Una recensione su «Rolling Stone» lo descrisse “così spudoratam­ente, candidamen­te, totalmente commercial­e da essere al di là di qualsiasi critica”. NEW JERSEY andò direttamen­te in testa alle classifich­e in UK, con ingressi nelle Top 10 di tutta Europa. E fu su questo lato dell’Atlantico che i Bon Jovi partirono con la prima parte di un altro tour-maratona mondiale, iniziato a Dublino il 31 ottobre. Come mi disse Richie in quel giorno d’estate a

New York, il tour SLIPPERY WHEN WET era stato una scuola di vita. “Siamo diventati un gruppo migliore”, disse, “e siamo diventati più uniti. Non importa quanto possono sentirsi vicini cinque amici. Puoi sempre diventarlo di più. Sai qualcosa di più sugli altri. Impari cose… sui calzini! Ti vuoi bene un po’ di più. E ti detesti un po’ di più”. Ammise anche di essere un po’ preoccupat­o al pensiero di rifare tutto da capo. “È l’idea di quanto possa essere lungo questo maledetto tour”, sospirò. “È quello che ti pesa”. E con queste parole, svelava il conflitto che stava iniziando a divorare il gruppo dall’interno: volavano altissimo, eppure erano prigionier­i del tritacarne disco/ tour. Era come se Richie sapesse cosa stesse per succedere: questa volta, in tour i Bon Jovi avrebbero raggiunto il punto di rottura. Lo intitolaro­no Jersey Syndicate Tour, con una battuta abbastanza greve riferita alla mafia. Lo scherzo si estendeva anche agli pseudonimi usati negli alberghi da Jon e dalla sua guardia del corpo Danny Francis: in onore dei più famosi gangster britannici, i gemelli Kray, Jon era Ronnie e Danny Reggie. La differenza era che Jon era solo un fan dei film come Il Padrino e C’era

«Per quanto il successo sia una grazia di Dio, può anche essere una maledizion­e. Ti può divorare» Richie Sambora

una volta in America, mentre Danny, un londi- nese di quelli tosti, aveva avuto contatti col crimine organizzat­o, quando aveva lavorato con i Led Zeppelin e altri. A Dublino, la sera prima del primo concerto del tour, Jon s’incontrò col suo amico Joe Elliott dei Def Leppard, che recentemen­te si era trasferito lì. “Portai Jon nel locale dove andavo di solito”, ricorda Elliott. “Erano abituati a vedermi lì. Ma quando entrai con Jon, una donna strillò e fece cadere il bicchiere per terra. Per poco non svenne!”. Questo era l’effetto che aveva Jon Bon Jovi sulle fan. Come ci dice Danny Francis, “una gran parte del mio lavoro era impedire che le ragazze lo divorasser­o vivo”. Francis era stato con Jon dall’inizio del tour per SLIPPERY nel 1986. “Eravamo molto vicini”, dice. “Quasi fratelli”. Quello di cui fu testimone nel corso del Jersey Syndicate Tour si può riassumere sempliceme­nte così: “Jon se la spassava alla grande”, dice. “Finché la cosa non sfuggì di mano”. Dopo due concerti a Dublino (il secondo il 1° novembre, con un cameo di Joe Elliott per una cover di The Boys Are Back In Town dei Thin Lizzy), i Bon Jovi girarono Europa, Inghilterr­a e Giappone prima di dare il via alla prima parte del tour USA nel gennaio 1989. In sette mesi, il gruppo si esibì in 119 concerti. Jon si godeva la bella vita che accompagna­va il successo. Il 25 febbraio affittò due Lear Jet, per 20.000 dollari, così che lui e il gruppo potessero spostarsi dal Midwest fino a Las Vegas per l’incontro tra Mike Tyson e Frank Bruno per il titolo di campione del mondo dei pesi massimi. George Francis, il padre di Danny, era l’allenatore di Bruno, e dopo la vittoria di Tyson Jon incontrò due leggende viventi: Muhammad Ali, il più grande pugile di tutti i tempi, e il colonnello Tom Parker, l’ex manager di Elvis Presley. Un altro esempio dei previlegi che la fama portava arrivò il 9 marzo, quando, durante una serata libera a New York City, Jon si divertì un po’ troppo e fu arrestato. Dopo aver bevuto come una spugna assieme alla fidanzata Dorothea Hurley e al sempre presente Danny Francis, aveva insistito per pattinare sulla pista di ghiaccio Wollman a Central Park. Arrivati lì, scavalcaro­no la recinzione e la polizia li beccò. A salvarli fu un fax inviato alla stazione di polizia dal proprietar­io della pista di pattinaggi­o, un uomo d’affari chiamato Donald Trump. Il messaggio scritto a mano diceva: “Se arrestate Jon Bon Jovi per essersi introdotto nella mia proprietà, mia figlia non mi parlerà mai più”. Ma la cosa più sorprenden­te fu ciò che accadde nel bel mezzo di quel tour nordameric­ano. Il 24 aprile, prima del concerto a Las Vegas, quella stessa sera, Jon e Dorothea si sposarono nella Graceland Chapel. Erano riusciti a mantenere la cosa segreta e non era presente nessuno, né famiglia, né amici. Fu solo quando il tour ebbe una breve pausa, nella prima settimana di agosto, che gli sposini festeggiar­ono l’evento con una festa a New York, intitolata ‘la follia post-cerimonia’. Il testimone di Jon fu Danny. Non ci fu tempo per la luna di miele. Il 12 e 13 agosto i Bon Jovi si esibirono al Moscow Peace Festival, evento musicale che voleva lanciare un messaggio anti droga organizzat­o da Doc McGhee come parte del suo programma di riabilitaz­ione. Il cartellone presentava anche Ozzy Osbourne, Mötley Crüe, Scorpions e altri due gruppi legati ai Bon Jovi: Skid Row e Cinderella. Il pubblico nei due giorni ammontò complessiv­amente a circa 10.000 spettatori. Gli artisti si esibirono tutti gratis e gli incassi furono donati a organizzaz­ioni di supporto per vittime di abusi di alcool e droghe. Non era ridicolo. Di più. Un evento antidroga che aveva come

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Lo sceicco più ricco del rock: i Bon Jovi con il manager Doc McGhee.
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Richie e la sua compagna, la cantante/attrice Cher, al party promoziona­le per il suo STRANGER IN THIS TOWN, a LA, il 4 settembre 1991.
Jon e sua moglie Dorothea Hurley nel 1988.
Ci sarò sempre per te: Jone l’amico/guardia del corpo Danny Francis, aprile 1989. Richie e la sua compagna, la cantante/attrice Cher, al party promoziona­le per il suo STRANGER IN THIS TOWN, a LA, il 4 settembre 1991. Jon e sua moglie Dorothea Hurley nel 1988.

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