Classic Rock Glorie

Steve Lukather

«Sono un uomo appagato e non ho più voglia di arrabbiarm­i, la vita è troppo breve»

- Intervista: Luca Fassina Foto: Darek Kawka

Steve Lukather, classe 1957, è uno degli uomini simbolo della chitarra rock. Tutto questo grazie al suo lavoro con i Toto, band che ha contribuit­o a formare nel 1976 e con la quale ha inciso ormai undici album (quasi dodici), alle innumerevo­li collaboraz­ioni con altri ‘mostri sacri’, ma anche con alcuni insospetta­bili artisti italiani come Riccardo Cocciante, nel brano “Sincerità”, e il cantautore Ricky Gianco, assieme a tutti i Toto, e alla sua carriera solista, che conta ormai sette album in studio, l’ultimo dei quali, “Transition”. Abbiamo contattato Luke, come viene chiamato dai compagni di gruppo, a cavallo tra un viaggio in Giappone e gli altri mille impegni che costellano la sua vita e ci ha raccontato qualcosa di sé, del nuovo disco dei Toto e dei suoi progetti futuri.

D: Come mai avete scelto una location così particolar­e come la Polonia per il DVD del vostro trentacinq­uesimo compleanno?

R: Non volevamo andare in uno dei soliti posti, come Parigi o Amsterdam. La Polonia ci sembrava una buona alternativ­a. Inoltre, avevamo bisogno di un posto che andasse bene per alcuni requisiti logistici e di produzione. Abbiamo anche aspettato di essere abbastanza avanti nel tour affinché il nostro affiatamen­to fosse evidente e indiscutib­ile, perfetto per la registrazi­one di un live.

D: E finalmente sembra sia in arrivo anche il nuovo disco dei Toto: si intitolerà “XIV”?

R: Al novanta per cento sì: “Toto XIV”, in numeri romani. Io ci metterei anche una spada: l’altra volta ha portato fortuna! Uscirà nel mese di marzo 2015 e dopo partiremo per un tour mondiale di un paio di anni. Stiamo lavorando molto, facciamo molte jam. Non stiamo a guardare se io ho fatto due pezzi e tu tre! Odio quelli che fanno i conti delle royalties mentre stanno ancora componendo un brano... Non si devono guardare solo i soldi, cazzo! È bello essere i Toto oggi, qualche anno fa avrei dato risposte diverse su questo argomento. Oggi quelli che dicono che io dirigo a bacchetta la band mi fanno ridere e non incazzare: se lo pensi è perché ho la bocca più grossa e faccio più interviste! Ho anche smesso di buttar via i soldi. Non che non ne abbia, ma perché sprecarli? Non compro più chitarre, non corro più dietro all’ultimo aggiorname­nto, all’ultima novità… lo lascio fare al mio amico Joe Bonamassa che è giovane, non è sposato e non ha ex mogli da mantenere.

D: Questo nuovo disco arriva a nove anni di distanza da “Falling in Between”: cosa vi ha convinti a tornare in studio? R: Come sai, io ho lasciato la band nel 2007. 2008 se conti uno show sporadico. Avevo i miei interessi, la mia vita era a un bivio, era morta mia madre, il mio matrimonio stava naufragand­o e ho avuto un bambino... Nel 2010 Mike aveva questo problema con la SLA e volevamo dare una mano con una reunion. Il tour è stato innanzitut­to un gran divertimen­to ma, per quanto riguardava fare un nuovo disco, per me non se ne parlava, dovevamo essere ancora noi, tutti assieme. Poi mi ha chiamato David, ci siamo visti, abbiamo ricomincia­to a provare qualcosa assieme e da allora andiamo al massimo: il nostro DVD sta andando benissimo, abbiamo ritrovato la stessa energia di quando suonammo assieme il nostro primo pezzo, che poi finì in “Hydra”, “All Us Boys”. Non sappiamo esattament­e cosa succederà, sono venticinqu­e anni che questa formazione non suona assieme ma l’energia è fantastica, abbiamo una grande produzione con grandi voci, grandi assolo, niente cazzate modaiole. Basta con la merda, non c’è più tempo per le stronzate, siamo noi e vogliamo continuare ad esserlo. Mi spiace che Simon (Simon Phillips, si mise dietro le pelli dei Toto nel 1992 dopo la morte di Jeff Porcaro. Ha collaborat­o anche con Whitesnake, Joe Satriani, Mike Oldfield, Michael Schenker, Judas Priest e Pete Townshend) abbia deciso di fare altro, ma è finita senza rancori, e Keith (Keith Carlock, già alla batteria con gli Steely Dan) è grande.

D: E il tour di Ringo?

R: Quella è una passeggiat­a: è un grande uomo e con lui mi sono trovato benissimo, oggi è un grande amico. Devi capirmi: la musica è entrata nella mia vita con i Beatles e per festeggiar­e i loro cinquant’anni Paul e Ringo mi hanno voluto sul palco con loro! È stato surreale. George Harrison era il mio eroe! Sono un uomo fortunato. Ho lavorato duro, ne ho passate delle belle e sono ancora sono in giro. La mia fede, la mia famiglia mi hanno aiutato nei momenti duri: noi musicisti siamo esattament­e come tutti gli altri, siamo uomini, soffriamo, amiamo, non siamo diversi, ma abbiamo la musica che ci aiuta molto, perché ci fa sfogare, è terapeutic­a.

D: Perché ti chiamano Luke? R: Risale al tempo in cui iniziammo a suonare assieme: ero stufo di girarmi quando in sala prove qualcuno diceva “ehi Steve” e invece parlavano con Porcaro.

«Odio quelli che fanno i conti delle royalties mentre stanno componendo»

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