BRUCE DICKINSON
“Noi, i Judas Priest e i Pantera siamo arrivati a un punto dove avremmo potuto innalzarci a un livello superiore. Ma non abbiamo avuto i coglioni per farlo. I Metallica sì. Bisogna dargli credito per aver colto l’occasione quando si è presentata, correndo il rischio e prendendosi meritatamente il trionfo. Non è possibile sottovalutare quello che hanno realizzato con questo disco. È un disco fondamentale. Prodotto alla perfezione, con ogni nota al posto giusto. Ammiro il modo in cui ci sono riusciti, e cosa hanno fatto con i brani.
È tutto assolutamente efficace. Di sicuro, quel disco ha contribuito a portare il metal al mainstream. Lo so che non l’ha prodotto Mutt Lange, ma Bob Rock ha un tocco simile, il tocco che c’è quando il produttore controlla tutto.
Noi non potremmo mai fare un disco così, perché non vogliamo concedere questo tipo di controllo. Con noi scoppierebbe un casino, e alla fine licenzieremmo il produttore!”
METALLICA BLACKLIST, un disco di cover con 53 brani in cui un cast stellare rilegge a modo suo il Black Album (si va da Ghost a Volbeat, dai Biffy Clyro a Miley Cyrus, da Dave Gahan dei Depeche Mode all’icona del country contemporaneo Chris Stapleton). “È un qualcosa che vale di per sé”, dice il chitarrista Kirk Hammett. “Anche se la cultura moderna cambia e si trasforma, in quel disco c’è un qualcosa che continua a parlare alla gente in tutto il mondo. E dico ‘il mondo’ perché lo conoscono dappertutto”. Il Black Album non apparve dal nulla. Fu il prodotto di duro lavoro e litigi folli. Nove mesi di preparazione e ricordi indelebili per chi ne fu coinvolto. Questa è la storia di come i Metallica crearono l’opera che avrebbe cambiato per sempre il metal. I Metallica erano una delle storie di successo degli anni 80. Quando esordirono con KILL ’EM ALL, pochi li presero sul serio, ma a ogni disco successivo la loro credibilità cresceva. …AND JUSTICE FOR ALL del 1988 vendette due milioni di copie, ma il gruppo si rese conto che il sound intricato e progmetal del disco rappresentava una barriera troppo alta tra loro e il successo trasversale che sognavano. Il loro quinto disco sarebbe stato una reazione a molte cose, ma soprattutto a se stessi.
Lars Ulrich: Passammo anni cercando di dimostrare a noi stessi e agli altri che sapevamo suonare. “Senti che rullate faccio. E Kirk suona dei riff davvero difficili…” Kirk Hammett: …AND JUSTICE FOR ALL ci fece capire quanto potessimo essere prog, e quanto pretendessimo dal nostro pubblico.
Ulrich: Più o meno a metà del tour di JUSTICE, mentre facevamo quei brani lunghi nove minuti pensai, “Ma perché mi preoccupo di fare alla perfezione queste cose quando Seek and Destroy o For Whom the Bell Tolls vanno benissimo come sono?” Hammett: Quando suonavamo …AND JUSTICE FOR ALL dal vivo, vedevo gente che sbadigliava e controllava l’ora. Secondo me pensavano, [espressione annoiata], “Ok, ascoltiamoli”.
James Hetfield: Con JUSTICE avevamo raggiunto il limite, come complicazioni e tecnicismi.
Hammett: Quando toccò al disco successivo, non volevamo rinchiuderci nella stessa gabbia prog. Avevamo in mente qualcosa di più grande. Ricordati che all’epoca erano usciti dischi che avevano stravenduto – Bon Jovi, Def Leppard, Bruce Springsteen… otto milioni di copie, nove milioni. Noi volevamo quello. Volevamo il nostro BACK IN BLACK.
Nell’estate del 1990 i Metallica