L’ALTROVE DI CHRIS
Cinque dischi, uno diverso dall’altro
Sempre in cerca di un “altrove” (rattrista che, con la più dolorosa delle conferme, ci abbia fatto scoprire quanto non fosse un’esigenza solo professionale), Chris Cornell disegna un percorso discografico dove è impossibile ravvisare la minima regolarità, di tempo come di scelta artistica, di produzione come di songwriting. In questo senso, sono proprio gli album firmati a suo nome a rappresentare la mappa più imprevedibile e discontinua. La comprensibile esigenza di poter prendere qualsivoglia decisione si concretizza per la prima volta nel 1999, a Soundgarden già sciolti da due anni (e, immaginiamo, lontanissimi dall’idea di reunion) con EUPHORIA MORNING: album ispiratissimo trainato dalla emozionalmente potente Can’t Change Me, trova la critica praticamente unanime nell’apprezzamento, ma è un tonfo commerciale. Evidentemente, le ballad e le linee melodiche di matrice Beatles (band invisa a Morello ma faro assoluto per Chris) sorprendono un pubblico che solo in un paio di episodi può ravvisare echi del Cornell so far. Un vero peccato, visto che ci vogliono otto anni per il secondo episodio, CARRY ON, che si appiattisce su banali FM rocksongs, complice la produzione di uno Steve Lyllywhite tutt’altro che in stato di grazia; a salvarlo dalla bocciatura – è opinione di chi scrive – una splendida cover della Billie Jean di Michael ‘Thriller’ Jackson e l’inclusione di You Know My Name (colonna del primo Bond di Craig, Casino Royale), dall’atmosfera degna di John Barry. Se non temessi di essere schiavo del pregiudizio salterei a piè pari SCREAM del 2009: Timbaland produce l’episodio elettronico del vocalist, con un risultato che stride praticamente in ogni episodio – l’effetto è un’incompatibilità da parmigiano sul gelato al limone. Passando per l’imperdibile album live acustico del 2011, SONGBOOK (emozionante dalla scelta della scaletta alle performance da brivido), nessuno avrebbe potuto supporre che HIGHER TRUTH del 2015 sarebbe stato il testamento artistico di una delle voci più talentuose e rappresentative del rock moderno. Per fortuna, il lavoro è emozionante, a tratti commovente, più morbido che aggressivo, ma egualmente esplosivo per impatto di testi e linee melodiche. Se volete evitare le lacrime, quindi, fate passare un altro po’ di tempo prima di rimettere sul piatto Misery Chain.