SID VICIOUS, IL MARTIRE
Come la figura di Johnny Rotten è stata eletta dalla storia a mo’ di emblema dei Sex Pistols, così quella di John Simon Ritchie ovvero Sid Vicious (Londra, 10 maggio 1957 – New York, 2 febbraio 1979) incarna per molti – basta contare le t-shirt! – il punk e i suoi non-ideali. Dapprima offeso dai suoi modi sfrontati e poi morbosamente attratto dalla tragica spettacolarità della sua vicenda, il mondo – non solo quello musicale – l’ha infatti innalzato al rango di martire, quasi che la sua ostinata, ottusa ricerca di autodistruzione fosse solo colpa della società e non anche (e soprattutto) delle tare di una psiche contorta. Poi, ok, senza dubbio “faceva scena” e ha inventato il Pogo (ammesso che l’abbia fatto sul serio), ma nella musica dei Pistols c’è in pratica solo il suo ben più dotato predecessore Glen Matlock e la sua fama è dovuta pressoché unicamente ai tanti episodi di cronaca dei quali è stato protagonista passivo e attivo: primi tra tutti, l’assassinio della sua schizzata compagna Nancy Spungeon (le cui circostanze non sono però mai state davvero chiarite), con la quale aveva imbastito una burrascosa relazione sentimentale fondata su sesso, droga e assortiti squilibri, e l’oscuro incidente/suicidio che l’ha ucciso. Più che il bassista dei Sex Pistols, Sid Vicious va considerato il parafulmine che ha attratto su di sé le energie negative generate dalla band; la grottesca cover di My Way, le folli sequenze di The Great Rock’n’Roll Swindle e i brani dal vivo di SID SINGS sono il testamento di un disadattato a suo modo geniale che solo una morte così avrebbe potuto consegnare all’immortalità.