Viva il calcio, abbasso la musica
Quel giorno imparai a riconoscere le infinite declinazioni del tanfo acre del vomito. Non era certo la musica che faceva vomitare, ma il mio ingenuo stupore non si attenuava, era per me incredibile che ogni “guazzetto” avesse un fetore diverso. C’erano dappertutto lattine vuote e tracce di vomitate. Era il 26 maggio del 1972, avevo da poco compiuto 15 anni, e mi trovavo a quello che ancora oggi viene ricordato come il più grande raduno musicale degli anni 70 in Italia, il Festival Pop di villa Pamphili a Roma. A quel tempo ero il bassista dei Ciliati, avevo appena acquistato un monumentale amplificatore Montarbo da Romualdo Coletta, il bassista di Quella Vecchia Locanda, un gruppo romano di pop progressivo, e frequentavo il Liceo classico. Chissà perché ero andato a villa Pamphili da solo, senza il mio amico Massimo Cilia, il batterista dei Ciliati e mio compagno di banco fin dalla scuola media. Volevo vedere i Van der Graaf Generator, dico vedere e non ascoltare perché l’audio faceva veramente schifo per chi, come me, si manteneva a una certa distanza dal palco, irretito dalla folla. Ero entrato da un ingresso secondario dell’immensa villa, non ricordo transenne o recinzioni e non ricordo di aver pagato il biglietto (lo avrei comunque pagato volentieri). La zona del palco era in una specie di valletta a cui non mi sono mai avvicinato troppo, procedevo a giri concentrici tra le collinette circostanti e ogni tanto mi sedevo per terra, nei punti lontani da vomito e siringhe (vidi lì le mie prime siringhe, ma erano veramente poche). Mi sedevo quando mi colpiva la musica e mi è rimasto il ricordo preciso degli Osanna. I Van der Graaf si esibirono per ultimi a tarda sera, ma non tanto tarda perché ricordo essere riuscito a prendere l’ultimo autobus per la stazione Tiburtina (o forse era un notturno?), suonarono l’inedita Theme One e il giorno dopo mi fiondai al negozio Ricordi di piazza Indipendenza per comprare il 45 giri Philips 6073311. I bastardi mi rifilarono una copia con la copertina generica e io ho aspettato 30 anni prima che Franco Brizi mi rivelasse che pochi giorni dopo sarebbero arrivate le copie con la copertina vera. Fu il mio primo concerto dal vivo. Mi si è aperto questo file della mia memoria perché ho appena letto il libro di Massimo Giacon, Masticando km di rumore, appena edito da Feltrinelli. Giacon racconta in ordine cronologico i 100 concerti della sua vita dal 1975 ad oggi, per ogni concerto c’è una recensione scritta e nella pagina a fronte una recensione illustrata. Una formula insolita e affascinante, che pochi artisti possono permettersi di cavalcare. Giacon, autorevole maestro del fumetto, della grafica e del design, si conferma con questo libro anche maestro di scrittura. Non possiamo dire di conoscere una band se non l’abbiamo ascoltata dal vivo! E qui non possiamo esimerci dal ricordare che nella grave situazione attuale di pandemia, ancora una volta, in questa Italia di ignoranza e imbecillità costituite, la musica, che è arte suprema, viene discriminata. Perché si consente che 15.000 persone possano assistere a una partita di pallone ma solo 1000 a un concerto di musica? E concludo riportandovi le parole di un amico molto più autorevole di me, Francesco De Gregori: «Su Salmo dobbiamo riflettere e non semplicemente condannare la sua trasgressione alle regole. Io gli sono comunque grato per aver richiamato l’attenzione sul fatto che per una partita di calcio si possa stare in 15.000 in uno stadio mentre per i concerti all’aperto c’è un limite di 1000 persone sedute e distanziate. A che serve allora il green pass? Tutte le polemiche e tutta la fatica per ottenerlo? Questa limitazione è profondamente ingiusta e mortifica la nostra dignità professionale. Dimostra purtroppo ancora una volta che chi è chiamato a decidere non ha nessun rispetto e nessuna attenzione per la musica “leggera” e per il nostro pubblico».