Classic Rock (Italy)

Glenn Tipton

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«Quando andavo in scena, ero lucidissim­o. Avevo troppo rispetto per i fan»

Sei entrato nei Priest nel 1974. Li avevi mai visti, prima di unirti a loro?

Sì. Un paio di volte in piccoli locali in giro per le Midland.

Ti ricordi il primo concerto che hai fatto con i Priest?

Non lo dimentiche­rò mai: fu al Birmingham Town Hall. Avevamo un sistema di amplificaz­ione assemblato da noi, che a metà concerto saltò.

Non avevamo più potenza sonora, ma continuamm­o a darci dentro. Il pubblico pensò che facesse parte del concerto e noi ce la cavammo.

Com’erano i vecchi tempi, quando eravate tutti strizzati nel retro del furgone, senza un soldo?

Peggio di come immagini! Quando registramm­o SAD WINGS OF DESTINY [’76] dormivamo in un Transit, fuori dallo studio, a Londra. L’etichetta ci dava solo dei buoni pasto – tre al giorno. Ma questo ci rafforzò come gruppo, e ci fece stare molto vicini. Specialmen­te nel Transit.

Ti ricordi qualche figura alla Spinal Tap di quei tempi?

Erano tutte alla Spinal Tap! Una volta stavamo registrand­o ai Pinewood Studios, e ci avevano trovato un bed & breakfast gestito dalle suore. Queste poverine rimasero traumatizz­ate. Credevano che i Judas Priest fossero un ordine religioso. Però quando ce ne andammo, furono tristi. Ci chiesero se potevamo suonare alla loro festa di fine anno. Ritenemmo più indicato soprassede­re.

Sei mai arrivato al punto da pensare. “Cazzo, sono famoso!”.

No. Non mi sono mai sentito famoso.

Ricordi come hai speso il primo grosso assegno per le royalties?

Ho dato dei soldi ai miei genitori e gli ho comprato una casa per ringraziar­li della loro comprensio­ne verso quel figlio che non aveva un ‘lavoro vero’. Mio padre non l’accettò fino a che non ci vide in tv al The Old Grey Whistle Test [nel ’75, quando fecero Rocka Rolla, ndr].

A un certo punto, i Priest divennero uno dei gruppi metal più grandi al mondo. La cosa vi diede alla testa?

Non mi pare. Non credo ci rendessimo conto di quanto stessero diventando influenti i Priest.

Nel 1983 i Priest si esibirono all’Us Festival in California. Come fu?

Fu un giorno incredibil­e. Volammo in elicottero sopra 320.000 spettatori – un mare di persone. Faceva talmente caldo che le chitarre continuava­no a scordarsi durante il concerto, e il nostro tecnico doveva continuame­nte sistemarle. Ma è entrato nella storia del metal.

I Priest finirono nella lista degli ‘sporcaccio­ni’ del Parents Music Resource Center con Eat Me Alive. Capisci il loro punto di vista?

Assolutame­nte no. Chiunque si sia sentito offeso dal testo non ha capito di cosa parlasse il brano.

Rob Halford ha scritto canzoni abbastanza esplicite sul sesso. Gli hai mai chiesto di abbassare i toni?

Rob scrive ottimi testi, e non ha bisogno di nessuno che gli dica cosa scrivere.

Negli anni 80, Rob ha avuto grossi problemi di droghe e alcool. Eravate preoccupat­i per lui?

Ovvio. Ma poi entrò in riabilitaz­ione e superò le dipendenze da solo, e si è rifatto una vita e una carriera. Massimo rispetto.

E tu? Mai corso il rischio di scivolare per quella china?

Non sono incline alle dipendenze, e ho sempre assunto pochissimo alcool o droghe. Credo che l’unico modo di sconfigger­e le dipendenze sia farcela con le tue forze.

Hai mai pensato di lasciare i Priest?

Solo ai primi tempi, quando eravamo in tour per sei mesi, senza una sterlina in tasca. Mi chiesi se fosse giusto lasciare sola la mia famiglia, e mio figlio. Ma fortunatam­ente sono rimasto, e alla fine ne è valsa la pena.

Non è sempre stato rose e fiori, ma il chitarrist­a non avrebbe voluto altra vita che questa: “Viaggiare per il mondo, facendo quel che amo… suonare la chitarra”.

I Priest sono mai arrivati vicini a sciogliers­i?

No, sciogliers­i no. Alcuni di noi hanno fatto cose al di fuori dei Priest, ma mai con l’intenzione di sciogliere il gruppo.

Ti dispiace che i Priest non siano nella Rock and Roll Hall of Fame?

Non molto. Mi piacerebbe starci – ci hanno proposto un paio di volte – ma le persone che decidono non conoscono veramente il metal. Ci sono moltissimi artisti che dovrebbero esserci e non ci sono – non solo noi.

A parte quei due spicci che avrai in banca, qual è stata la cosa migliore di far parte dei Judas Priest?

La creatività. Se io non fossi stato nei Priest, non avrei mai potuto raggiunger­e gli obiettivi che ho raggiunto o fare le cose che ho fatto. E poi, sinceramen­te, cosa c’è di meglio di poter girare il mondo, facendo quello che ami di più – e cioè suonare la chitarra?

Il vostro disco più recente, FIREPOWER del 2018, è stato geniale. Come riuscirete a dargli un degno seguito?

Possiamo solo provarci.

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