Classic Rock (Italy)

Scott Travis

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Da ragazzo eri un fan dei Judas Priest?

Assolutame­nte sì. Un amico aveva UNLEASHED IN THE EAST su cassetta. Un giorno eravamo in giro e lui se lo dimenticò. Lo ascoltai e me ne innamorai. A quel punto, come molti fan, cercai i dischi precedenti. La prima volta che li vidi fu per il tour di POINT OF ENTRY [1981]. I loro concerti li aprivano gli Iron Maiden con Paul Di’Anno.

Li hai visti, e ti sei detto: “Un giorno a quella batteria ci sarò seduto io!”?

Ah! Ti svelo un segreto. Sono cresciuto nel periodo Les Binks – HELL BENT FOR LEATHER [KILLING MACHINE in Europa, ndr] è tuttora il mio disco preferito. Quando reclutaron­o Dave Holland, continuaro­no a fare grandi brani, ma dal vivo pensavo: “Quel batterista non sembra pestare come dovrebbe”. Adoravo la musica e il look, ma sembrava mancasse qualcosa.

E come sei riuscito a diventare il batterista dei Priest, dieci anni dopo?

Ero nei Racer X. Il nostro cantante,

Jeff Martin, era stato in un gruppo di Phoenix, Surgical Steel, e aveva conosciuto Rob. Per cui, quando disse a Jeff che stavano cercando un batterista, lui rispose: “Dovresti sentire quello che suona con me, Scott”. Passò il mio nome, e alla fine del 1989 i Priest mi chiamarono in Spagna per un provino.

I fan dei Priest ti hanno conosciuto con l’intro di batteria del brano omonimo che apre PAINKILLER, nel 1990. Una presentazi­one stellare.

Già. Quando sei un batterista, il massimo è quando hai un riff di batteria che è la tua firma – Rock And Roll per gli Zeppelin, Hot For Teacher per i Van Halen. Credo che quello sia il mio.

Eri nel progetto solista di Rob, i Flight, e anche nei Priest. Non era imbarazzan­te?

No, fu fantastico. Rob mi chiese se volessi far parte dei Flight. Io chiesi a Glenn, Ian e KK se gli andava bene e dissero di sì. Pensavano fosse una buona idea avere almeno due membri dei

Priest nello stesso progetto solista.

Hai mai provato a fare da paciere tra le due parti?

No, me ne sono tenuto fuori e non mi sono fatto coinvolger­e.

Ripensando­ci, come ti sembrano i due dischi dei Priest che avete fatto con Tim ‘Ripper’ Owens?

Sono diversi. Ovviamente volevano che il sound fosse diverso, non volevano un cantante che assomiglia­sse a Rob, anche se Ripper aveva alcuni tratti che potevano ricordare Rob. Ma comunque sono quel che sono.

Chi era il sergente di ferro nei Priest a quei tempi?

Be’, musicalmen­te è sempre stato Glenn. È quello che dice: “Ecco le idee, ecco cosa facciamo”. Ma senza un cantante nel rock’n’roll non combini niente, e Rob è un ottimo autore e un ottimo paroliere.

L’ex batterista dei Racer X era già un fan dei Priest quando si è unito a loro nel 1989.

Ed è stato anche nel progetto solista di Halford, Flight.

Che tipo è Rob Halford?

(Ride) è un grande fan delle sue scorregge. Ok, seriamente. Una cosa che non dimentiche­rò mai fu quando volai in Spagna per il provino. Mi aspettava un lungo volo di ritorno. Stavo per partire, e lui mi chiamò: “Non posso dire per certo che il posto sia tuo, ma volevo che stessi tranquillo”. Sapeva che avevo davanti ore ed ore di volo. Un vero signore.

Prima che arrivassi tu, i Priest avevano avuto molti batteristi. Qual è il tuo segreto?

Amico, non lo so. Ero un fan dei Priest prima e lo sono adesso.

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