John Mellencamp
The Good Samaritan Tour 2000
REPUBLIC RECORDS/UNIVERSAL
Il nuovo album di Mellencamp è un vecchio live di 21 anni. Dov’è la notizia? È nel rincorrersi di quei fatti che punteggiano una carriera. Nel 1999 il folk-singer dell’Indiana era sotto contratto, poco soddisfatto, con la Columbia. Il rapporto si chiuse male. Tra JOHN MELLENCAMP e CUTTIN’ HEADS la Mercury, che poteva permetterselo, pubblicò ROUGH HARVEST, un disco che assomiglia parecchio a questo del 2021. Conteneva canzoni originali e rifacimenti, con intenzione acustica (ma con ritmica), di brani firmati Dylan (Farewell Angelina) e Van Morrison o di traditional. In My Time Of Dying di Blind Willie Johnson congiunge oggi i due lavori. Mentre i nuovi discografici provavano a tenere in vita il rocker, quelli vecchi annunciavano il Mellencamp che sarebbe arrivato, tutto politica, folk-blues, incazzature, arresti anche. Se la foto di copertina di THE GOOD SAMARITAN TOUR (date improvvisate nel 2000, in strada, un fare da busker e pochi strumenti a corda, un mandolino e una fisa al seguito) vede l’artista braccato da un poliziotto, le canzoni rinnovano buone intenzioni e l’aria spavalda. A dare forma a questo prezioso documento sono Street Fighting Man degli Stones (Dead Flowers chiudeva spesso i set ma qui non c’è), Hey Gyp di Donovan, All Along The Watchtower di Dylan, Oklahoma Hills di Woody Guthrie e alcuni gioielli di casa (Small Town, Pink Houses). Ma pescatevi anche il bootleg INDIANA. Ohio, 1985: Mellencamp e il chitarrista Mike Wanchic improvvisarono uno show con cover di Janis Joplin, John Prine, Dylan, Elliott Murphy che sembra il progenitore di quanto raccontato in questa recensione.