Giorni intensi di un «futuro passato»
“Gary Brooker se n’è andato tranquillo e signorile a 76 anni, un tumore se l’è portato via il 19 febbraio scorso. Scompare una di quelle presenze magnetiche e necessarie che sono tali non per ridondanza d’ego, per accanimento nel voler essere sempre sotto lo spot che ti illumina, ma perché hanno il carisma del dono naturale, e una gentilezza esteriore che è specchio di quella interiore”. Così Guido Festinese su «il Manifesto» inizia il più bell’articolo uscito in Italia che celebra la figura del leader dei Procol Harum. Lo trovate in Rete. È quel dolore rabbioso che si prova per la perdita di un familiare che mi ha colpito personalmente. Ho seguito Gary Brooker fin da ragazzino, dal 1967 quando mia sorella più grande iniziò a far girare il 45 giri italiano di A Whiter Shade Of Pale, ho acquistato tutti gli album e lo considero da sempre nell’élite dei grandi compositori britannici. Prossimo ad autori profondamente inglesi come Paul McCartney, ma anche come Ray Davies dei Kinks o Steve Winwood o Elvis Costello e Paul Weller. Autori avviluppati e coinvolti dalla musica pop inglese degli anni 50. Permeati dal music hall. Andate a riascoltare gioielli come Good Captain Clack e Lime Street Blues dei Procol Harum, Berkshire Poppies dei Traffic, Death Of A Clown, Tin Soldier Man, Afternoon Tea e Sunny Afternoon dei Kinks, Single Pigeon, Bip Bop, Distractions, You Gave Me The Answer del clamoroso McCartney. Paul li aveva ascoltati nel giugno del 1967 allo Speakeasy a Londra e definì A Whiter Shade Of Pale “la canzone più bella di tutti i tempi”. Tre momenti esaltanti dei “miei” Procol Harum: mio padre, grande cultore di musica da camera, che li chiamava Paraculorum e li ascoltava di soppiatto durante i miei ascolti, una cena alla pizzeria cinese Cinapoli, Claudio Rocchi ed io, parlando tutta la sera di Gary Brooker e di John Fogerty, il racconto di Maurizio Becker di una intervista che gli fece a Londra. Il rimpianto di non essere mai stato a un suo concerto, nonostante abbia trascorso la vita sul palco in giro per il mondo. Un disco fondamentale: PROCOL HARUM LIVE IN CONCERT (with the Edmonton Symphony Orchestra) Chrysalis, 1972. Un concerto edito in video superlativo: Procol Harum with the Danish National Concert Orchestra and choir at Ledreborg Castle, Denmark in August 2006.
In questo numero abbiamo una bellissima intervista esclusiva di Alfredo Marziano a un altro gigante del rock britannico; ecco come lo definisce ancora Guido Festinese nel suo interessante articolo su «il Manifesto»: “Roger Chapman, ugola potente e soul quasi identica a quella di Gary Brooker, anello di tenuta tra tarda psichedelia, folk rock acido, echi di blues e classici: MUSIC IN A DOLL’S HOUSE, 1968, è un esordio che pesa molto, sulle future sorti del prog”.
Devo una risposta a Sandro, che mi ha scritto: “Volevo sapere come sapevate voi, e chi studia storia della musica, che il verde è uno dei colori più associati alla musica e al rock, come dimostrato nella vostra copertina dell’ultimo numero? Ho più volte fatto questa associazione ma sembrava una mia impressione invece oggi esce questo numero che dà una conferma... Ma su internet non trovo niente con Google, queste informazioni allora dove si possono trovare… rock+verde? Su quali fonti? Avete libri, riviste o pagine internet che potete passarmi? Grazie di cuore”. Caro Sandro, stai parlando di sinestesia. Alcune persone (l’incidenza è 1/3000) possiedono una condizione neurologica che gli permette di associare la musica ai colori. In italiano puoi leggerti Storia naturale della sinestesia di Marco Mazzeo (Quodlibet), e soprattutto Musicofilia di Oliver Sacks (Adelphi). Celebre tra gli addetti ai lavori, l’episodio durante la registrazione dell’Lp di Sergio Endrigo …E NOI, AMIAMOCI (1981) in cui Sergio Bardotti (sinestetico) sbraita allo stupefatto chitarrista Eros Drusiani: «Più verde! Questo assolo devi farlo più verdeee!!!».