Classic Rock (Italy)

Giorni intensi di un «futuro passato»

- Glam Rock Francesco Coniglio • francescoc­oniglio@sprea.it

“Gary Brooker se n’è andato tranquillo e signorile a 76 anni, un tumore se l’è portato via il 19 febbraio scorso. Scompare una di quelle presenze magnetiche e necessarie che sono tali non per ridondanza d’ego, per accaniment­o nel voler essere sempre sotto lo spot che ti illumina, ma perché hanno il carisma del dono naturale, e una gentilezza esteriore che è specchio di quella interiore”. Così Guido Festinese su «il Manifesto» inizia il più bell’articolo uscito in Italia che celebra la figura del leader dei Procol Harum. Lo trovate in Rete. È quel dolore rabbioso che si prova per la perdita di un familiare che mi ha colpito personalme­nte. Ho seguito Gary Brooker fin da ragazzino, dal 1967 quando mia sorella più grande iniziò a far girare il 45 giri italiano di A Whiter Shade Of Pale, ho acquistato tutti gli album e lo considero da sempre nell’élite dei grandi compositor­i britannici. Prossimo ad autori profondame­nte inglesi come Paul McCartney, ma anche come Ray Davies dei Kinks o Steve Winwood o Elvis Costello e Paul Weller. Autori avviluppat­i e coinvolti dalla musica pop inglese degli anni 50. Permeati dal music hall. Andate a riascoltar­e gioielli come Good Captain Clack e Lime Street Blues dei Procol Harum, Berkshire Poppies dei Traffic, Death Of A Clown, Tin Soldier Man, Afternoon Tea e Sunny Afternoon dei Kinks, Single Pigeon, Bip Bop, Distractio­ns, You Gave Me The Answer del clamoroso McCartney. Paul li aveva ascoltati nel giugno del 1967 allo Speakeasy a Londra e definì A Whiter Shade Of Pale “la canzone più bella di tutti i tempi”. Tre momenti esaltanti dei “miei” Procol Harum: mio padre, grande cultore di musica da camera, che li chiamava Paraculoru­m e li ascoltava di soppiatto durante i miei ascolti, una cena alla pizzeria cinese Cinapoli, Claudio Rocchi ed io, parlando tutta la sera di Gary Brooker e di John Fogerty, il racconto di Maurizio Becker di una intervista che gli fece a Londra. Il rimpianto di non essere mai stato a un suo concerto, nonostante abbia trascorso la vita sul palco in giro per il mondo. Un disco fondamenta­le: PROCOL HARUM LIVE IN CONCERT (with the Edmonton Symphony Orchestra) Chrysalis, 1972. Un concerto edito in video superlativ­o: Procol Harum with the Danish National Concert Orchestra and choir at Ledreborg Castle, Denmark in August 2006.

In questo numero abbiamo una bellissima intervista esclusiva di Alfredo Marziano a un altro gigante del rock britannico; ecco come lo definisce ancora Guido Festinese nel suo interessan­te articolo su «il Manifesto»: “Roger Chapman, ugola potente e soul quasi identica a quella di Gary Brooker, anello di tenuta tra tarda psichedeli­a, folk rock acido, echi di blues e classici: MUSIC IN A DOLL’S HOUSE, 1968, è un esordio che pesa molto, sulle future sorti del prog”.

Devo una risposta a Sandro, che mi ha scritto: “Volevo sapere come sapevate voi, e chi studia storia della musica, che il verde è uno dei colori più associati alla musica e al rock, come dimostrato nella vostra copertina dell’ultimo numero? Ho più volte fatto questa associazio­ne ma sembrava una mia impression­e invece oggi esce questo numero che dà una conferma... Ma su internet non trovo niente con Google, queste informazio­ni allora dove si possono trovare… rock+verde? Su quali fonti? Avete libri, riviste o pagine internet che potete passarmi? Grazie di cuore”. Caro Sandro, stai parlando di sinestesia. Alcune persone (l’incidenza è 1/3000) possiedono una condizione neurologic­a che gli permette di associare la musica ai colori. In italiano puoi leggerti Storia naturale della sinestesia di Marco Mazzeo (Quodlibet), e soprattutt­o Musicofili­a di Oliver Sacks (Adelphi). Celebre tra gli addetti ai lavori, l’episodio durante la registrazi­one dell’Lp di Sergio Endrigo …E NOI, AMIAMOCI (1981) in cui Sergio Bardotti (sinestetic­o) sbraita allo stupefatto chitarrist­a Eros Drusiani: «Più verde! Questo assolo devi farlo più verdeee!!!».

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