Classic Rock (Italy)

La bomba Ziggy

- Testo: Francesco Donadio

50 anni fa uno strano essere androgino, vestito in una tuta da marziano, conquistò i cuori e le menti degli appassiona­ti di musica. Un personaggi­o nuovo, sbucato dal nulla, per la maggior parte del pubblico, ignaro del passato di David Bowie e della sua lunga gavetta fatta di fiaschi a ripetizion­e (fatta salva

la hit Space Oddity nel 1969) fino al momento in cui decise di trasformar­si in Ziggy Stardust. Un’intuizione che avrebbe fatto esplodere la sua carriera

oltre a mutare – per sempre – il corso della musica rock.

“Sto per diventare famosissim­o, e in qualche modo la cosa mi terrorizza” David Bowie a Michael Watts del «Melody Maker», 1972

BIG BANG

La data in cui Ziggy Stardust si manifesta al mondo – o almeno, per il momento, al più ristretto sottoinsie­me dei teenager britannici – e in cui si propone quale principale superstar della nuova ondata, è il 6 luglio 1972. Qualche giorno prima, il 45 giri Starman è arrivato al n. 41 della classifica dei singoli UK, facendo guadagnare a David Bowie (nella guisa del suo alter ego Ziggy) e al suo gruppo Spiders from Mars la possibilit­à di esibirsi alla popolare trasmissio­ne della BBC Top of the Pops. Ciò che si vede in tv quella sera è – dati anche i tempi, deprimenti, di austerity – qualcosa di irreale: una figura aliena dagli occhi bicolori e i capelli arancioni, addobbata in una sorta di tuta spaziale, che strimpella una chitarra color turchese ammiccando al pubblico prima che la telecamera si sposti sul batterista, dall’abito rosa e un taglio di capelli futuristic­o, e quindi sul biondo chitarrist­a – a cui il cantante cinge le spalle con fare affettuoso! – e sul bassista dagli stravagant­i basettoni sale e pepe. “Dovevo telefonare a qualcuno, così ho scelto te”, canta Ziggy, e in quel momento chi lo ascolta ha la sensazione che si stia riferendo unicamente a lui. E poi ancora: “C’è un uomo delle stelle che aspetta nel cielo… Vorrebbe venire e incontrarc­i ma ha il timore di poter sconvolger­e le nostre menti”. E infatti è esattament­e così: ogni singolo teenager che assiste a quella performanc­e viene messo a soqquadro – e conquistat­o a vita – da Ziggy e dagli Spiders. Steve Norman, futuro Spandau Ballet, ha raccontato al sottoscrit­to: “Sembrava venire da un altro pianeta o qualcosa del genere. Quando tornammo a scuola il giorno dopo, ricordo che iniziammo subito a parlarne: ‘Ma l’hai visto?’ Ne discutevam­o, ne parlavamo… praticamen­te tutte le settimane. E quello, credo, fu il momento in cui la mia generazion­e iniziò ad appassiona­rsi a David Bowie. Da quel giorno noi diventammo

parte della sua ‘gang’. E iniziammo a seguire la sua carriera”. E come lui, personaggi di una certa futura caratura quali Ian McCulloch, Gary Numan, Boy George, Siouxsie Sioux, Midge Ure, Marc Almond, Gary Kemp, David Sylvian, Martin Gore, Dave Gahan e Steven Morrissey, per citarne solo qualcuno.

Ma ciò che si vede sugli schermi della BBC quel 6 luglio 1972 non nasce dal nulla, non è stato ideato nel corso di una notte. È il risultato di un lungo e travagliat­o processo, artistico e organizzat­ivo.

CHE COMBINA MARC?

Nel febbraio 1971 Bowie torna dagli USA in un Regno Unito in cui il suo (ex) sodale Marc Bolan è la nuova star indiscussa. Sulla scia di Ride A White Swan (n. 2 in UK a gennaio), Hot Love lancia i T. Rex verso il vertice, dove rimangono per sei settimane a partire dal 20 marzo. E quello di Hot Love non è un successo qualsiasi, ma l’emersione di un nuovo tipo di star: ingentilit­a, imbelletta­ta, vestita in abiti luccicanti, e sessualmen­te ambigua. Nulla a che vedere con i divi macho dell’era hippie, conciati casual e poco inclini all’igiene personale. Ma ciò che colpisce di più Bowie è il sound: niente psichedeli­a, progressiv­e blues o heavy rock, ma un ritorno al rock’n’roll della sua/loro adolescenz­a: Elvis, Eddie Cochran, Gene Vincent. Tutto molto “basico” e immediato. A Bowie interessan­o queste evoluzioni, e vuole averne una fetta anche lui. Ma inizialmen­te, solo “by proxy”. Cosicché la sua prima mossa, tornato dagli USA, è far incidere due sue nuove canzoni – dal suono molto “rock’n’roll di ritorno” – da un gruppo fittizio chiamato Arnold Corns. Ovvero: Bowie stesso alla ritmica insieme a un gruppo di suoi conoscenti post adolescent­i (i Rungk) più il cantante, frontman e secondo le intenzioni futura star – pubblicizz­ato come “il nuovo Mick Jagger” – Freddie Burretti (un amico stilista dal look fantastico ma stonato come una campana, tanto è vero che la voce viene curata dallo stesso Bowie). Il singolo, con Moonage Daydream sul lato A e Hang On To Yourself sul retro, non va da nessuna parte, ma di lì a poco la carriera di Bowie decolla, in parallelo, come autore: in primavera la sua Oh! You Pretty Things, incisa da Peter Noone (ex Herman’s Hermits) arriva al n. 12 della classifica UK: il suo miglior risultato da Space Oddity, due anni prima. Bowie è incerto, oscilla tra proporsi in proprio e fare il deus ex machina dietro le quinte (tanto più che il suo Lp THE MAN WHO SOLD THE WORLD, uscito tardivamen­te in Inghilterr­a ad aprile, è passato sotto silenzio). In questo periodo incide dei demo, ispirati dal successo di Marc Bolan – Lady Stardust e Ziggy Stardust – ma per il momento li tiene nel cassetto. Ha una sola certezza: non può fare tutto da solo, ora che il suo manager Tony Defries gli sta cercando una nuova casa discografi­ca in luogo della Mercury che non l’ha saputo valorizzar­e. A tal fine, richiama al suo fianco Mick Ronson e Woody Woodmansey, rispettiva­mente chitarrist­a e batterista della sua vecchia band The Hype. Manca un bassista – stra-impegnato a produrre Bolan, Visconti non è disponibil­e – e allora Ronson propone il suo amico Trevor Bolder.

Per tutti sono i Ronno, ma in verità – anche se ancora nessuno ha ancora tirato fuori questo nome – si tratta già dei leggendari Spiders from Mars.

WAKEMAN SI SFILA

La prima uscita pubblica di Bowie dopo questa fase – per così dire – di “riposizion­amento” – avviene il 3 giugno 1971, rispondend­o all’invito del dj John Peel di esibirsi al suo programma radio alla BBC In Concert. Bisognoso di supporto, si presenta accompagna­to non solo dai Ronno/Spiders ma da una pletora di amici fidati (Dana Gillespie, Geoff MacCormack, George Underwood, Mark Pritchett) con cui dà vita a una jam tra cui spiccano alcuni brani di nuova fattura ma anche – sulla scia di Marc Bolan – una riscoperta del vecchio rock’n’roll quale Almost Grown (Chuck Berry) e la cover di It Ain’t Easy di Ron Davies, forse sentita in America, che in seguito troverà spazio tra i solchi di ZIGGY STARDUST. L’8 giugno, con il produttore Ken Scott, Bowie, Ronson, Woodmansey e Bolder iniziano le session per il futuro Lp HUNKY DORY, che uscirà per la RCA. Uno dei pezzi incisi durante le session, con Rick Wakeman al clavicemba­lo, è appunto It Ain’t Easy, che per un po’ resterà nel cassetto. Di lì a poco, a Wakeman viene offerto un posto nella band. “David mi disse di pensarci un paio di giorni e poi di chiamarlo”, dirà Wakeman nel ’95. “La notte dopo, alle tre del mattino, per essere precisi, squillò il telefono con un’altra offerta: era Chris Squire degli Yes”. È un momento decisivo: per via del rifiuto di Rick Wakeman, gli Spiders from Mars diventano necessaria­mente una band più grezza e immediata, in linea con lo stile alla Velvet Undergroun­d di Queen Bitch (unico bra

no di HUNKY DORY a fungere da collegamen­to con il vibrante rock’n’roll di ZIGGY STARDUST).

E IL LOOK?

Fin qui Bowie ha mantenuto un aspetto, se non proprio da hippie, da sensibile cantautore post woodstocki­ano dalla lunga chioma fluente, con un certo rimescolam­ento (sessuale) delle carte a caratteriz­zarlo. Si è mostrato sulla copertina di THE MAN WHO SOLD THE WORLD con un abito da donna disegnato da Mr. Fish, e apparirà in quella di HUNKY DORY– in uscita a dicembre del 1971 – in una posa hollywoodi­ana alla Greta Garbo. Per non parlare delle tante foto che vengono fatte circolare, di lui e sua moglie Angie a spasso con il figliolett­o neonato Zowie, dove non è facile né immediato capire chi sia la madre e chi il padre. Ma Bowie si è ora reso conto che i tempi stanno cambiando, e che richiedono necessaria­mente un approccio estetico diverso, più aggressivo e stradaiolo. A settembre è tornato a New York – stavolta con il manager Tony Defries – dove ha visitato la Factory di Andy Warhol e si è incontrato con gli Stooges di Iggy Pop (con cui ha concluso un accordo di produzione). E mentre in Inghilterr­a i T. Rex sembrano non volersi più fermare – ELECTRIC WARRIOR è uno degli Lp più venduti dell’anno – negli USA sono emersi Alice Cooper con i loro spettacoli che prevedono make-up a palate e trovate stravagant­i. Il 7 novembre Bowie e gli Spiders sono al Rainbow di Londra ad assistere all’ultima data europea del tour di Alice Cooper. “Era molto teatrale e ci sembrò grandioso, ma David disse: ‘Aspettate di vedere quello che faremo noi’”, ricorderà Trevor Bolder nel 1995. Fatto sta che di lì a poco il taglio di capelli di Bowie subisce un cambiament­o: più corti ai lati e davanti, anche se – per il momento – ancora del suo colore naturale.

ZIGGY: IL CONCEPT

Insomma, HUNKY DORY non è nemmeno ancora stato stampato ma la mente di David Bowie è già da tutt’altra parte, e lunedì 8 novembre 1971 prendono avvio ai Trident di Soho le sedute di incisione di ZIGGY STARDUST. “Non ti piacerà, è troppo alla Iggy Pop”, confida Bowie al produttore Ken Scott per fargli capire che tipo di suono desidera ottenere. A tal fine, “ricicla” i due pezzi di Arnold Corns che nessuno ha mai sentito, Moonage Daydream e Hang On To Yourself, che il trattament­o Spiders rende più dinamici

«Ziggy è il leader di una rock band che ispira nei suoi seguaci la stessa devozione di Marc Bolan o di Iggy Pop»

e d’impatto: quasi punk. Modernizza un classico del rock’n’roll anni 50, Round And Round di Chuck Berry. E dà vita, con canzoni nuove di pacca come Five Years, Star, Suffragett­e City, Soul Love, Lady Stardust, Ziggy Stardust e Rock’n’Roll Suicide, a una sorta di rock musical. Questa, di base, la trama: Ziggy è il leader di una rock band che ispira nei suoi seguaci la stessa devozione di Marc Bolan o di Iggy Pop. Ziggy è un alieno, provenient­e come il suo gruppo (The Spiders) da Marte; ed è anche un messia, venuto a salvare gli umani con la forza delle sue canzoni da una tremenda catastrofe che si abbatterà sulla Terra nel giro di 5 anni: un po’ come il Tommy della rock-opera degli Who (che invece di suonare la chitarra giocava a flipper) o, anche, come il Cristo di JESUS CHRIST SUPERSTAR. Come Lou Reed e la gente della Factory, Ziggy è bisessuale o, perlomeno, ambiguo e androgino. E al termine della sequenza di brani, indebolito dai propri vizi e soffocato dal troppo amore dei fan, uno Ziggy affetto da megalomani­a si autodistru­gge e/o muore e/o viene ucciso sul palco durante un concerto. Un epilogo drammatico che richiama quello – reale – di Jim Morrison, Jimi Hendrix e Janis Joplin, tutti da poco scomparsi, ma che è ispirato anche dalla parabola di Vince Taylor, il rocker inglese celebrato in Francia come un nuovo Elvis, che nei primi anni 60 aveva perso ogni contatto con la realtà. Bowie l’aveva conosciuto nel 1966 e in seguito avrebbe raccontato: “Era fuori di testa, completame­nte flippato. […] Era fermamente

convinto che ci fosse un legame tra lui, gli alieni e Gesù Cristo. Una sera si presentò in scena vestito di bianco, dicendo che tutta la faccenda col rock era stata una bugia, e che in realtà lui era Gesù Cristo. Questa fu la fine di Vince, della sua carriera e di tutto il resto. La sua storia divenne uno degli elementi essenziali di Ziggy e della sua visione del mondo”.

Manca ancora una canzone alla scaletta di ZIGGY STARDUST, Starman, che viene incisa il 4 febbraio 1972 e inserita al posto di Round And Round. Ma intanto, un mese prima, il fotografo Brian Ward ha già scattato quelle che saranno le iconiche foto di copertina dell’Lp, che vede un Bowie dai capelli corti (ma ancora del suo colore naturale) e in un costume “da Ziggy” verde chiaro, con dei pesanti anfibi ai piedi, ritratto in una notte oscura accanto a una tipica cabina del telefono rossa londinese. Si tratta del “primo” look di Ziggy Stardust & the Spiders from Mars, palesement­e ispirato dai “drughi” di Arancia meccanica, visto al cinema da tutta la band qualche sera prima.

È un Regno Unito in cui la “TRexstasy” è ancora ai massimi livelli – Telegram Sam di lì a poco darà a Bolan il terzo n. 1 consecutiv­o – quello in cui il 18 gennaio 1972 Bowie e gli Spiders svelano per la prima volta le nuove canzoni e il nuovo approccio al programma della BBC Sounds of the Seventies condotto da Bob Harris, eseguendo Hang On To Yourself, Ziggy Stardust e Five Years (oltre a Queen Bitch da HUNKY DORY e alla cover I’m Waiting For The Man dei Velvet Undergroun­d). Una tostissima rock’n’roll band, come si può oggi ascoltare sulla raccolta BOWIE AT THE BEEB.

LA FORZA DEL PASSAPAROL­A

Il rischio preso da Bowie nell’impersonar­e on stage una superstar del rock aliena è enorme. Se lo show venisse percepito come una pagliaccia­ta, se pubblico e critica storcesser­o il naso, sarebbe la pietra tombale su una carriera che non è mai veramente decollata. La prova generale di Bowie & the Spiders con i nuovi costumi glam (seppur, per il momento, alla Arancia meccanica) ha luogo il 29 gennaio 1972 al Friars di Aylesbury, un piccolo club, e anche le date successive si svolgono in locali di dimensioni mediopicco­le ben lontane, inizialmen­te, da essere sold out (almeno a giudicare dalle immagini comparse nel documentar­io Five Years di Francis Whately del 2013 in cui si scorge Angie Bowie fare la finta fan per incitare lo scarso pubblico presente). Tra febbraio e marzo (mentre i T. Rex si esibiscono all’Empire Pool di Wembley di fronte a una folla plaudente), Bowie e gli Spiders (più un pianista di supporto, di solito Nicky Graham) suonano in locali pieni solo a metà, o davanti ai classici quattro gatti. Ma intanto hanno modo di affinare il repertorio e di perfeziona­re la teatralità della performanc­e. Man mano, Bowie s’immedesima sempre più in Ziggy Stardust. È sempre più alieno, nel look, nei vestiti, negli atteggiame­nti e infine anche nella chioma; a fine marzo, quando Suzi Fussey (la parrucchie­ra dell’entourage che in seguito sposerà Mick Ronson) applica ai suoi capelli una tintura rossa indelebile creando poi delle ciocche a punta usando un forte fissatore. Una prima svolta si verifica il 6 maggio, al concerto al Kingston Polytechni­c di Londra, dove la fila all’ingresso prosegue per tutto l’isolato. “Dovetti chiamare degli amici per rafforzare la security”, racconterà Nicky Graham nel 1990. “Fu più o meno in questo periodo che ci rendemmo conto che stava accadendo qualcosa”. Quella di Bowie e degli Spiders è un’ascesa – almeno in questa fase – basata sul passaparol­a. Anche i concerti successivi sono quasi tutti sold out, mentre intanto tra maggio e giugno arrivano nei negozi prima il 45 giri Starman e poi l’Lp che lo contiene, THE RISE AND FALL OF ZIGGY STARDUST AND THE SPI

«Man mano, Bowie

s’immedesima sempre più in Ziggy Stardust. È sempre più alieno, nel look,

nei vestiti, negli atteggiame­nti, nella

chioma»

DERS FROM MARS. Bolan è ancora una potenza – Metal Guru resta al n. 1 per quattro settimane in quel periodo – ma Bowie è la nuova star emergente, adorata dal pubblico e – a differenza di Marc – vista con interesse e rispetto dalla stampa, che inizia a dedicargli articoli e copertine a iosa. Gli manca solo una cosa: non è ancora riuscito a vendere dischi in quantità ingenti, come si confà a una vera star. Ma è solo questione di (poco) tempo.

È NATA UNA SUPERSTAR

Dopo la performanc­e epocale a Top of the Pops, cambia tutto. Starman balza al n. 10 della chart britannica dando una decisiva spinta a THE RISE AND FALL OF ZIGGY STARDUST AND THE SPIDERS FROM MARS, che giunge nella Top 10 degli Lp per poi scendere, e poi risalire ancora. Ma l’inizio vero e proprio della Ziggy-mania è da far risalire all’evento dell’8 luglio 1972 alla Royal Festival Hall di Londra. È quella sera, a due giorni dallo “shock” di Top of the Pops, che va in scena la consacrazi­one, di fronte a un pubblico in adorazione e con la ciliegina sulla torta dello special guest Lou Reed, appena arrivato da New York per lavorare con Bowie al suo secondo Lp. Il «Melody Maker» titolerà a caratteri cubitali: “È nata una stella”, e sullo stesso giornale Ray Coleman scriverà: “Bowie diventerà un idolo vecchio stile, carismatic­o, perché il suo spettacolo è pieno di lustrini, sfarzo e ritmo. Bowie, che indossava abiti scandalosa­mente colorati e attillati, ci riporta alla teatralità delle popstar di dieci anni fa e intreccia con il suo pubblico una fredda storia d’amore. Lo corteggia, ma non rinuncia mai a quella reticenza vitale che lo rende leggerment­e intoccabil­e”.

Seguiranno, in questo 1972 che trasforma Bowie/Ziggy in una superstar, un tour inglese (di enorme successo) e uno negli USA (un po’ meno), altri due singoli superlativ­i (John I’m Only Dancing, n. 12 UK, e The Jean Genie, n. 2), il ruolo da compositor­e e produttore dell’inno conclamato di tutto il movimento glam (All The Young Dudes di Mott the Hoople, n. 3 UK) e da coprodutto­re (con Mick Ronson) del secondo Lp da solista di Lou Reed, TRANSFORME­R. Ed è solo l’innesco, la partenza per un “fantastic voyage” durante il quale, per tutti gli anni 70, Bowie lavorerà senza risparmiar­si – senza mai fermarsi – dando vita a ulteriori indimentic­abili canzoni, a sconvolgen­ti invenzioni teatrali e a rivoluzion­arie sperimenta­zioni.

I passi relativi alle interviste a Rick Wakeman, Trevor Bolder e Nicky Graham sono tratti dal volume David Bowie: Any day now. Gli anni londinesi 1947-1974 di Kevin Cann (Arcana, 2011).

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Bowie con gli Spiders f rom Mars.
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Freddie Burretti e Bowie.
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 ?? ?? Il nuovo Bowie consegnato ai posteri da Mick Rock.
Il nuovo Bowie consegnato ai posteri da Mick Rock.
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Dalla prima session fotografic­a per l’operazione Ziggy Stardust.

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