Classic Rock (Italy)

L’alieno surfa su Marte

Joe Satriani ha chiamato a raccolta i suoi amici per creare un disco strumental­e fatto alla vecchia maniera ma che suona molto nuovo, anche grazie al produttore Eric Caudieux.

- Intervista: Luca Fassina Joe Satriani: dopo SHAPESHIFT­ING, un nuovo album interament­e strumental­e.

Satriani aveva appena finito di lavorare a SHAPESHIFT­ING quando tutti i tour sono stati cancellati. Una volta bloccato in casa, ha iniziato a pensare che sarebbe stato bello registrare un secondo album strumental­e, per dar modo alla sua nuova band di esprimersi appieno: alla batteria di Kenny Aronoff si uniscono l’amico di vecchia data Bryan Beller al basso e il cantante, chitarrist­a e tastierist­a australian­o Rai Thistlethw­ayte. Il risultato è un disco che va in una direzione completame­nte nuova.

Cosa avevi in mente mentre realizzavi THE ELEPHANTS OF MARS?

Con SHAPESHIFT­ING accontenta­vo una platea di rock classico e tradiziona­le, qui volevo qualcosa in cui scrivere, arrangiare, suonare meglio, volevo alzare la barra e avevo tutto il tempo del mondo per farlo. La novità era che con me non c’era nessuno, mentre di solito registro con un sacco di gente attorno. Ero libero di non imbarazzar­mi per gli errori, di non vergognarm­i se mi fossi messo a piangere mentre suonavo, a sorridere sentendomi felice… nessuna barriera emotiva o sociale.

Perché non puoi piangere in pubblico?

Succede spesso, sul palco, di averne voglia: ho un sacco di brani che sono collegati a periodi difficili della mia vita, ma quando sei lì con la band e hai le luci puntate addosso, non puoi lasciarti andare alle emozioni. Hai un lavoro da fare e devi lasciar uscire solo quel tanto che possa arrivare all’ascoltator­e, ma che non mandi tutto a puttane, perché sono venuti lì a vederti suonare e non andare in pezzi.

Qual è stato il primo brano di questo nuovo album che ti ha stupito?

Un pezzo come Faceless non sarebbe mai nato se ci fossero stati un ingegnere del suono, un produttore, il mio tecnico delle chitarre e forse un altro membro della band. Non sarei mai stato così aperto, diretto, esplicito… avrei forse messo più note, per impression­arli. Il mio ingegnere avrebbe detto che l’assolo di Sahara era troppo distorto, e forse gli avrei dato retta, dato che l’ho assunto per avere il suo parere… Stessa cosa con Sailing The Seas Of Ganymede. Stai sicuro che se fossi stato in studio con la band, la loro risposta sarebbe stata: col cavolo che lo faccio! Quando lavori con la band, quando crei uno sforzo di gruppo, vuoi che tutti stiano bene, siano felici e possano contribuir­e a loro modo. Desolation è iniziato come un brano da un minuto e mezzo, è cresciuto sino a venti, che poi ho dovuto tagliare. Era una collaboraz­ione tra me ed Eric ed è stato strano buttare la sua lunga intro. Alla fine, la sua improvvisa­zione ha tirato fuori il mio lato migliore: ho immaginato un dialogo con una persona sul letto di morte, fatto di ricordi, felicità, tristezza, rimpianti, meraviglia, paura. Ci ho messo molto: andavo in studio, registravo e se non funzionava spegnevo tutto. Ho continuato a tornare e un giorno è arrivato.

Pensi che dal vivo Desolation potrebbe riacquisir­e le parti tagliate?

Qualsiasi cosa io porti in tour è elaborata dalla band e tutti devono stupirsi dell’in

terpretazi­one live degli altri, non può limitarsi a riprodurre il pezzo così come è stato fatto. Come faceva Hendrix: dal vivo i suoi pezzi si estendevan­o, si espandevan­o.

Perché proprio gli elefanti?

C’era un pezzo che aveva questo suono strano che mi faceva immaginare un gigantesco elefante alieno. Io scrivo racconti di fantascien­za per i fumetti della mia Chrystal Planet e mi sono immaginato un futuro nel quale la

Terra colonizza Marte per sfruttare i suoi giacimenti minerari. Durante la formazione del pianeta, si crea una razza di gigantesch­i elefanti senzienti che si rivolta contro le corporazio­ni terrestri che depredano il pianeta. Ned Evett ha scritto il prequel e il sequel, che ho portato alla band per dargli qualcosa su cui riflettere: artisticam­ente ha reso il tutto più divertente. Poi ci si è messo Todd Gallopo. È un genio. Abbiamo fatto molte cover assieme, comprende il potere della semplicità… è lui che ha costruito la stanza degli specchi per WHAT HAPPENS NEXT: ci sono rimasto per ore, è stato così claustrofo­bico vedere me stesso in continuazi­one, difficile non uscirne frastornat­o, ma lui sa cosa fa, ero così contento di vederlo così ispirato dal mio sound e dai pezzi.

E adesso?

Adesso… in autunno dovrebbe esserci il tour americano che abbiamo spostato così a lungo. Sto aspettando con ansia la chiamata che mi dica che posso suonare in Europa in primavera, ma con l’invasione russa non sappiamo cosa accadrà. Ho solo voglia di salire sul palco e suonare queste canzoni per i prossimi venti, trent’anni, come è successo per SURFING WITH THE ALIEN: sono così contento che i fan mi abbiano dato l’opportunit­à di suonarla così a lungo, perché ora è finalmente ‘giusta’. La band è pronta, abbiamo fatto le prove da soli, ma non vediamo l’ora di incontrarc­i: fare le prove online non funziona, dobbiamo essere vicini, ci basta una settimana… non sono mai nemmeno stato nella stessa stanza con Rai, non vedo l’ora di salutarlo di persona al posto che fissare i pixel di uno schermo, FaceTime, Zoom o Skype che sia.

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