Alla ricerca di parole e suoni perduti
Spell Songs: arpe gaeliche, violoncello, flauti dolci ma anche synth, harmonium indiano e kora africana per un viaggio suggestivo e ricco di colori.
Spell significa sillabare, ma anche incantesimo. Ispirandosi ai libri di Robert Macfarlane dedicati alle parole che stanno scomparendo dal vocabolario dei bambini, sostituite dagli aridi termini della tecnologia, un collettivo di musicisti legati per la maggior parte al circuito del folk revival scozzese ricama storie piene di fascino su parole desuete come rovo, quercia, ghiandaia, rondine. Abbiamo chiesto a Rachel Newton, arpista e polistrumentista di parlarci del progetto.
Come è nato il gruppo? È una band stabile o un incontro per un progetto specifico?
Siamo stati tutti molto fortunati a essere stati invitati per lavorare insieme a Spell Songs da Adam e Caroline Slough, organizzatori del festival Folk by the Oak. Ci hanno proposto di scrivere delle canzoni ispirate ai libri di Robert Macfarlane e Jackie Morris, nel primo disco THE LOST WORDS e ora THE LOST SPELLS.
E come nasce quindi la collaborazione con Robert Macfarlane e Jackie Morris?
L’idea del progetto è nata negli Slough in occasione del Winter Hay Festival, un evento letterario: Caroline partecipò a un evento dedicato a THE LOST WORDS e sentì della musica in quelle parole. Il compositore e songwriter Kerry Andrew eseguì poi un brano ispirato alla lirica The Wren, dandole un ulteriore motivo d’ispirazione. Kerry è stata una figura importante nella realizzazione del nostro primo album, ma purtroppo non ha potuto unirsi a noi per i concerti a causa di una malattia.
Con Macfarlane lavorate su parole che rischiano l’estinzione, parole che i ragazzi di oggi non conoscono più. Esistono anche musiche e suoni in via di estinzione che vanno preservati?
Come artista che lavora con la musica tradizionale e i linguaggi delle minoranze, penso che dobbiamo essere molto attenti alla salvaguardia delle nostre culture, è un elemento molto importante.
Sono lieta di essere parte di una fiorente cultura qui in Scozia, ma cerco anche di trovare nuovi mezzi di comunicazione e di espressione musicale.
Qual è l’importanza della musica e dell’arte in generale per la salvezza del pianeta?
La cosa più bella provata nel lavorare su Spell Songs è rappresentata dalla incredibile risposta del pubblico ai libri originali e alla musica e all’arte che abbiamo proposto nei nostri spettacoli. È evidente come la gente abbia voglia di sentirsi unita per condividere un sentimento di amore per l’arte.
Come avete vissuto durante la pandemia?
Penso di essere stata fortunata per aver avuto il tempo e i mezzi per realizzare un nuovo disco durante la pandemia, il mio album solo TO THE AWE. Mi ha permesso, soprattutto nei primi mesi, di potermi concentrare a fondo.
Avete dei modelli di ispirazione per la vostra musica? Penso al grande movimento del folk revival degli anni Settanta.
Mi piace prendere ispirazione da moltissimi elementi. Sono stata ovviamente molto influenzata dalle cantanti in gaelico che ascoltavo da bambina, poi crescendo ho ascoltato di tutto e ho cercato di scoprire la mia vera voce. Ma traggo soprattutto ispirazione dai musicisti con cui collaboro.
L’edizione del Cd è curata, ricchissima, una gioia per gli occhi oltre che per l’orecchio. Una scelta coraggiosa. C’è ancora spazio per iniziative del genere nell’era della musica digitale, di Youtube e Spotify?
Ho notato che se la confezione del prodotto è special, come nel nostro caso, molta gente è ancora lieta di avere tra le mani un oggetto fisico. Certo, dipende anche dal genere, ma con il tipo di musica che facciamo sembra che ci sia ancora richiesta per qualcosa di tangibile.
Nel disco ci sono le arpe della tradizione scozzese e la kora africana, è un connubio facile e naturale?
Sì, assolutamente. Seckou Keita lavora in duo in modo fantastico con l’arpista Catrin Finch, e tutti noi pensiamo che la combinazione tra i due strumenti sia meravigliosa.
SPELL SONGS II: LET THE LIGHT IN è recensito a pag. 97.