Red Hot Chili Peppers
Unlimited Love
HS: 60
A sei anni da THE GETAWAY, i Red Hot Chili Peppers offrono il dodicesimo capitolo di studio di un’epopea ormai prossima al quarantennale. Almeno due le novità, che poi vere novità non sono: i ritorni del chitarrista John Frusciante, assente dal 2009, e del produttore Rick Rubin, convocato l’ultima volta nel 2011 per I’M WITH YOU. Insomma, lo stesso team – gli altri sono ovviamente i soliti Anthony Kiedis, Flea e Chad Smith – che concepì il capolavoro BLOOD SUGAR SEX MAGIC (1991) e il più easy ma non meno classico CALIFORNICATION (1999); gli entusiasti avranno sognato meraviglie, mentre i realisti si saranno ricordati di come da quei cinque siano arrivati anche BY THE WAY (2002) e STADIUM ARCADIUM (2006), che certo non sono pietre miliari. UNLIMITED LOVE, nemmeno a dirlo, dà piena ragione a quanti preferiscono stare con i piedi ben saldi a terra. Non è un disco da schifare, perché perizia, mestiere e classe sono ben sfruttati e qualche brano discretamente ispirato c’è (e ci mancherebbe pure, con una scaletta di diciassette tracce per settantatré minuti), ma a dispetto delle dichiarazioni dei diretti interessati il primo termine a venire in mente per descriverlo non è “energia” (fanno relativa eccezione These Are The Ways, The Heavy Wing e poco altro), bensì un assai meno stimolante “mollezza”. Tra funkettini non proprio esuberanti, ballate ruffianelle e assortiti ammiccamenti al pop rock “da FM”, la band californiana ha autocelebrato se stessa in assoluta libertà, di sicuro divertendosi un mondo ma non pensando affatto a simulare vecchie urgenze che, con duecentotrenta anni complessivi sulle spalle e un tenore di vita da autentiche rockstar, è normale non gli appartengano più. Tutto sommato, giusto così.