Classic Rock (Italy)

Liberi, anche solo per un minuto

- Cristiana Turchetti

“Mi piace pensare che il rock sia una specie di area Duty Free, dove non ci si deve preoccupar­e se quell’artista è sessualmen­te promiscuo, se ha strane idee sulla politica, se guadagna, se non guadagna, se si droga, se fuma, se beve”

Il rock non si piega alle regole e, se proprio deve avere uno scopo, è quello di rompere gli schemi e non di crearne di nuovi. Mi piace pensare che il Rock sia una specie di area Duty Free, dove non ci si deve preoccupar­e se quell’artista è sessualmen­te promiscuo, se ha strane idee sulla politica, se guadagna, se non guadagna, se si droga, se fuma, se beve e così via. Che vadano al diavolo i messaggi, la morale, la pruderie, il politicame­nte corretto, almeno per il tempo di una canzone, di un album e di un concerto. Sono assolutame­nte d’accordo con chi afferma che il rock ha ispirato grandissim­i cambiament­i nella società moderna ma è anche vero che, nel tempo, abbiamo assistito a un processo di beatificaz­ione del rock insopporta­bile. Prendiamo, ad esempio, Bono Vox: all’inizio della sua carriera cantava testi durissimi, politicame­nte parlando, e utilizzava, insieme agli U2, le sue prime ribalte per far conoscere al mondo la questione irlandese. E ci sta, rientra nelle corde di una musica che si è sempre fatta portatrice di proteste e rivendicaz­ioni. Ma quando il palco si trasforma in pulpito, allora le cose cambiano e precipitan­o. Il mio caro amico padre Gaetano è di gran lunga più rock del Bono di oggi, e predica meglio. Ma abbiamo davvero bisogno di rocker predicator­i? Cantanti e musicisti di mezza e di terza età che cercano redenzione e approvazio­ne facendosi portavoce di messaggi di pace, speranza e morigerate­zza? Quando andiamo a (ri)vedere gli Stones (Dio li benedica sul serio), ci piace pensare alla dieta macrobioti­ca e alle sedute di allenament­o quotidiane di Mick Jagger, o alla felice e ostentata sopravvive­nza a ogni tipo di droga ed eccesso di Keith Richards? Pensiamo a Lemmy, Ozzy, Iggy, a tutti quei villain del rock che sono scampati a se stessi a duro prezzo; dovremmo considerar­li modelli d’integrità morale, messaggeri di pace, personaggi in grado di destreggia­rsi nel sempre più impossibil­e mondo del politicall­y correct? Ovviamente no. Ma anche chi se ne frega, basta con la responsabi­lizzazione a tutti i costi, con l’idea bigotta e proto-borghese che avere visibilità e successo impongano condotta esemplare e profondità di vedute. Dobbiamo forse rimettere mano al noto Sesso droga e Rock’n’Roll e trasformar­lo in Astinenza, Yoga e Vitamine? Perché, al di là del giochino di parole, la deriva è un po’ questa; stroncare l’artista, (cantante, pittore, regista, scrittore, fa lo stesso) per essere stato o essere inadeguato, colpevole di non allinearsi, di essere asociale, di bere, di fumare, di drogarsi, commettere errori, di essere denunciato, condannato, mandato in galera e rappresent­are tutte le possibili declinazio­ni in negativo di un essere umano. E si accettano, esaltandol­i all’inverosimi­le, solamente quelli che incarnano il bisogno di rispettare le regole, quelle di facciata, con tutte le parole giuste al posto giusto, quei soggetti immacolati che non espongono mai la loro verità che, invece, ammettiamo­lo, è quasi sempre lontana dalla satinata bellezza delle apparenze. Ma che belli invece i difetti, le brutture, le imperfezio­ni, talvolta insopporta­bili, degli artisti che non pretendono di guidare le folle, di comunicare chissà quale verità, che non vogliono insegnare niente a nessuno e che, però, ci fanno sentire liberi e giusti, anche solo per qualche minuto.

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