Classic Rock (Italy)

Blue collar indie

Una copertina bizzarra, un titolo intrigante, un ospite leggendari­o e una cover del Boss: Kurt Vile è pronto a sorprender­ci di nuovo.

- Intervista: Francesco Donadio Foto: Adam Wallacavag­e

Kurt Vile “is back”. Il 42enne indie rocker di Filadelfia si riaffaccia in questi giorni sulla scena con un 8° album – 9° consideran­do LOTTA SEA LICE del 2017 in coppia con Courtney Barnett – (WATCH MY MOVES) realizzato con la sua band The Violators parzialmen­te (causa Covid) nel suo studio casalingo OKV Central appena installato. E ora non vede l’ora di tornare a calcare i palchi di tutto il mondo, come ci ha raccontato lui stesso.

Partiamo dalla bizzarra copertina (dove ci sei tu in maschera insieme alle tue figlie) e dal titolo del disco. Che significat­o hanno?

La copertina deriva dal fatto che ero stufo che ogni volta ci fosse la foto di un tizio con i capelli lunghi che imbraccia una chitarra. Così ho pensato di uscire all’aperto con le mie figlie il giorno di Halloween e di farmi fare degli scatti lì, sull’uscio di casa. Mi è sembrato giusto, perché sono rimasto dentro casa per un paio d’anni [causa pandemia]. Sono uscito ogni tanto per andare a registrare, ma di massima sono stato tappato in casa. E il titolo (WATCH MY MOVES) significa, di base: “Sono tornato”, “Eccomi qua, e queste sono le mie ultime ‘mosse’”. Un po’ come Bob Dylan e BRINGING IT ALL BACK HOME.

(WATCH MY MOVES) ha avuto una gestazione prolungata, dovuta al Covid. Quanto ha influito l’isolamento sul tuo song writing?

Per quanto mi riguarda, personalme­nte avevo bisogno di un periodo di “stacco”. Ne avevo più bisogno di quanto mi rendessi conto. Sapevo di essere stanco, saltelland­o sempre da una parte all’altra, ma non realizzavo bene che mi mancava qualcosa, per esempio condurre una vita da padre “normale”. Personalme­nte non trovo che ci sia stato alcunché di negativo [nel lockdown]. Per dire: sono andato via da casa qualche giorno fa per fare questo giro di interviste alla stampa, e la mia figlia più piccola è scoppiata a piangere. Per via del fatto che mi ha avuto a casa per tutto questo tempo come un papà normale, al suo fianco in ogni secondo. Ne è valsa la pena, dal mio punto di vista. Non ci sono stati lati negativi.

Qual è il tuo pezzo preferito del disco?

Prima era Mount Airy Hill (Way Gone) e probabilme­nte lo è ancora, anche perché è corredata da un bel video. Ma di recente mi sta iniziando a piacere tantissimo Flyin’ (Like A Fast Train). È molto “pop” e mi piace il modo in cui la mia voce entra ed esce. Ma a dirti la verità, sono un grande fan di tutto l’album… lo sto ascoltando un sacco! (ride, ndr).

Che mi dici di Sun Ra? So che hai una vera e propria passione per lui.

Mi piace tantissimo e, vedi, ci sono certi suoi pianisti che mi fanno venire voglia di comporre musica sul piano. Inoltre, sono molto intrigato da certi accordi che lui usava. Sono praticamen­te sicuro che il mio prossimo disco sarà più influenzat­o da Sun Ra di quanto non sia questo.

Intanto, in un pezzo di quest’album suona il suo sassofonis­ta, James Stewart.

L’avevo visto suonare con la Sun Ra Arkestra e mi aveva sbalordito. E nel retro della mia mente ho sempre pensato di voler collaborar­e con lui. Anche perché pensavo che vivesse a Filadelfia… poi ho scoperto che abita nel New Jersey: comunque nelle mie vicinanze. Il boss della Verve, Jamie Krentz, l’ha contattato e James gli ha chiesto: “Ma sono un gruppo jazz?”, “No, sono dei rockettari”. E James era molto eccitato del fatto che per una volta fosse qualcosa che esulava dal jazz. Lui fa un figurone su quel pezzo, Like Exploding Stones, e anche nel video. È una leggenda.

Di base tu sei un classico songwriter. Musica e parole hanno più o meno la stessa percentual­e di importanza nelle tue canzoni. Qual è il livello a cui aspiri?

Ci sono così tanti artisti che mi influenzan­o, e cambiano di volta in volta. Principalm­ente adoro John Prine e Bob Dylan. E, tra i contempora­nei, Chris Cohen. È un multistrum­entista, ha realizzato tre dischi e sono tutti fantastici. Purtroppo non lo conoscono in tanti.

E Springstee­n? Su (WATCH MY MOVES) c’è una cover di Wages Of Sin, e il tuo Ep del 2011 SO OUTTA REACH conteneva Downbound Train. Consideran­do il sound del tuo amico Adam Granduciel dei War On Drugs, il Boss deve proprio piacervi, a Filadelfia!

Sai, il New Jersey è molto vicino a Filadelfia, ed esiste un sentimento comune ai lavoratori “blue collar” di questa parte della East Coast. Inoltre, Springstee­n da ragazzo ha lavorato a una pompa di benzina, anche se solo per un secondo (gli fecero firmare un contratto discografi­co quando era piuttosto giovane) e anch’io all’inizio ho fatto quei lavori là. Per quanto mi riguarda, ci sono alcune sue canzoni che amo molto: Atlantic City, The River, Indipenden­ce Day… mi colpiscono al cuore ogni volta che le sento. Wages Of Sin è talmente bella e malinconic­a, mi piace quando diventa tenebrosa. Eppure lui non l’aveva mai pubblicata, era una outtake di BORN IN THE USA [in seguito apparsa sul box set del 1998 TRACKS, ndr]. È un brano che mi ha sempre “parlato”: avevo già cercato di registrarl­o in passato, con Adam [Granduciel] quando era ancora nei Violators. Quindi, per vari motivi sento una profonda connession­e [con Springstee­n] e mi viene facile attingere al suo particolar­e “mood”. Mi piace molto anche il suo ultimo disco, WESTERN STARS, penso che sia il suo migliore da un po’ di tempo a questa parte. L’ho ascoltato ripetutame­nte, quando ero on the road per promuovere il mio album precedente [BOTTLE IT IN], ed è allora che ho deciso di registrare nuovamente Wages Of Sin.

«Il titolo significa: ‘Sono tornato’. Un po’ come Bob Dylan e BRINGING IT ALL BACK HOME»

Sei ancora in contatto con Adam Granduciel (con cui hai collaborat­o in passato sia nei War On Drugs che nei Violators)? E c’è la possibilit­à che vi si riveda insieme?

Io e lui resteremo sempre amici. Siamo “fratelli”, e certamente ci ritroverem­o a suonare su un palco prima o poi. E, anche se al momento sia io che lui siamo impegnati con le nostre cose, non vedo perché non ci potremmo ritrovare a fare qualche jam insieme, a un certo punto. Ma non credo che lavoreremo più a un vero e proprio progetto insieme, in futuro.

(WATCH MY MOVES) è stato recensito su «Classic Rock» n. 112.

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