I Pink Floyd e l’Ucraina: solo autopromozione?
Pulito, ma trascurabile
Esiste gente convinta che una canzone “di protesta” sia in grado di sensibilizzare chi, con piena consapevolezza, ha voluto scatenare una guerra? O che gli spiccioli ricavabili da streaming e download possano fare qualcosa di rilevante al fine di sostenere le vittime? È legittimo supporre che la risposta sia no. “Servirà a chi in qualche maniera ci mangia su”, diranno con un sorrisetto quelli che credono di saperla lunga, ma in questa occasione non è così: David Gilmour e Nick Mason non hanno certo bisogno di ulteriori medaglie e poi, inutile negarlo, sul piano musicale Hey Hey Rise Up è robetta prescindibile, come del resto è prescindibile tutto ciò che i (cosiddetti) Pink Floyd hanno realizzato dopo la separazione da Roger Waters. Non si può però nemmeno negare alla performance spontanea di Andriy Khlyvnyuk in Piazza Sofia (il primo verso dell’inno ucraino intonato a cappella), che è stata il punto di partenza del progetto, un certo pathos e una certa capacità di toccare le corde dell’anima, alla pari delle drammatiche immagini del videoclip approntato da Mat Whitecross. La vita ci ha resi cinici, ok, ma abbiamo ancora un cuore.
Di una cosa si può essere comunque sicuri: Hey Hey Rise Up è un’operazione pulita, magari sostanzialmente inutile ma non dannosa per nessuno. Però, fermo restando che di fronte agli orrori di qualsivoglia conflitto ci si sente un po’ idioti a discutere di fesserie come queste, si rimane perplessi e un po’ irritati dall’enfasi con la quale i media hanno calcato la mano più sul “favoloso e inatteso ritorno” dei Pink Floyd a otto di distanza dall’inconsistente THE ENDLESS RIVER. E su, porca merda, ma quali Pink Floyd? Al di là degli accordi legali che gli consentono di usare il nome, Gilmour e Mason non sono “i Pink Floyd”, ma sono “solo”… Gilmour e Mason. Il battage pubblicitario sarebbe stato più sensato nel caso di una reunion con Waters, la cui presenza avrebbe – forse – alzato il livello artistico del brano, senza costringere i fan oltranzisti ad arrampicarsi sugli specchi per cercare di spacciare per oro il bello ma scontatissimo assolo proposto da Gilmour con la sua Fender Esquire del 1955. Le intenzioni erano buone e non si discute, ma non sarebbe giusto tirare in ballo le strade per l’Inferno perché, in questo caso, a lastricarle ha provveduto Putin e non uno scialbo esercizio di stile quale è Hey Hey Rise Up.
“E su, porca merda, ma quali Pink Floyd? Gilmour e Mason non sono ‘i Pink Floyd’, ma sono ‘solo’… Gilmour e Mason”.
Pochi artisti alzano polveroni come i Pink Floyd. Inevitabile, quando hai scritto un pezzo di storia musicale così imponente. Tanto più se l’immobilismo creativo dura da un’eternità. Ma allora ha davvero senso usare per questa canzone il nome della band e non quello di David Gilmour (e Nick Mason), essendo ovviamente fuori dal mondo una partecipazione di Roger Waters? Forse però la domanda fondamentale è un’altra: va sempre e comunque mantenuto un certo distacco, o arriva il momento in cui il critico dentro ciascuno di noi (giornalisti o semplici ascoltatori) può anche lasciarsi andare all’empatia? La questione rimane aperta e non è possibile una risposta univoca. Nondimeno, le immagini che vediamo ogni giorno in tv parlano la lingua della guerra più crudele e di una totale assenza di umanità.
Forse, a fronte di tutto ciò, si può anche sorvolare sul resto. Va poi ricordato che David ha una nuora ucraina e che nel 2015 aveva già partecipato a un concerto di beneficenza per il teatro della Bielorussia insieme ai Boombox, anche se ironia della sorte proprio il loro cantante Andriy Khlyvnyuk era rimasto bloccato da qualche parte per problemi di visto. La notizia che Khlyvnyuk ha mollato il tour americano della band per tornare in Ucraina a combattere e ancor più il video apparso in rete, in cui il cantante intona senza accompagnamento musicale, da una deserta piazza Sofiyskaya di Kiev, le solenni note della marcia patriottica Oi U Luzi Chervona Kalyna, hanno evidentemente toccato l’anima di Gilmour che a quel punto, registrato lo scontato ok di Mason e, chiamati a raccolta il veterano bassista Guy Pratt e il tastierista anglo-indiano Nitin Sawhney, non ha fatto altro che mettere gli accordi giusti sotto la voce di Khlyvnyuk e infiorettare il tutto con un paio di assoli della sua inconfondibile chitarra. Il peso artistico di Hey Hey Rise Up resta però oggettivamente piuttosto basso: il canto popolare ucraino, nelle sue nobilissime intenzioni, fa proprio a cazzotti con l’idea di rock che tutti noi abbiamo. E gli interventi di Gilmour sono poco più che un esercizio di stile. E allora come la mettiamo e come giudichiamo questa operazione, dato per scontato che i Pink Floyd non hanno certo bisogno di pubblicità e di attenzione? Forse semplicemente per quella che è: un’iniziativa nata spontaneamente nella mente di un artista che ha voluto manifestare il suo pensiero e la sua vicinanza a un popolo. Non servirà assolutamente a niente, ovvio. Ma rimane un bel gesto.
“David ha una nuora ucraina che nel 2015 aveva già partecipato a un concerto di beneficenza per il teatro della Bielorussia insieme ai Boombox, anche se ironia della sorte proprio il loro cantante Andriy Khlyvnyuk era rimasto bloccato da qualche parte per problemi di visto”.