Classic Rock (Italy)

Tornare a vivere il prog

Dopo la scomparsa di due membri storici, la storia dei Semiramis sembrava finita. Poi Paolo Faenza ha capito che “la fine non esiste”.

- Intervista: Gianni Della Cioppa

A distanza di 50 anni da DEDICATO A FRAZZ, capolavoro del prog nazionale, la band romana torna con un nuovo stupendo album: LA FINE NON ESISTE. Nostalgia? Potere della musica? Ci spiega tutto il batterista Paolo Faenza.

Dalla reunion di qualche anno fa sono mancati Maurizio Zarrillo e Giampiero Artegiani. L’esperienza dei Semiramis sembrava finita, poi sei ripartito con dei musicisti giovani. Cosa ti ha spinto a non arrenderti?

Non è stato facile. Maurizio era la band, Giampiero lo considerav­o mio fratello. Ti confesso che volevo mollare tutto, ma gli altri mi hanno convinto ad andare avanti. C’era come la sensazione che “loro” avrebbero voluto così. Il titolo LA FINE NON ESISTE arriva anche da questo.

Cosa è rimasto di quei Semiramis? T’interessa cercare un legame o calarvi in una nuova visione?

In realtà, è una via di mezzo. Il nuovo album contiene due brani riarrangia­ti dal live del 2017 e quattro nuovi, elaborati con Daniele Sorrenti, il nuovo tastierist­a, uno dei motori del gruppo. Abbiamo voluto riprendere alcune sonorità di DEDICATO A FRAZZ ed elaborarle in un contesto moderno, hard rock dal piglio sinfonico, con chitarre, vibrafono e soprattutt­o organo Hammond, che ritengo lo strumento base per la nostra musica. Naturalmen­te tutti hanno fatto la loro parte. La band si completa con Ivo Mileto al basso, Marco Palma, chitarra acustica, Emanuele Barco, chitarrist­a, e il cantante Giovanni Barco.

Come avete lavorato al nuovo materiale e cosa vi aspettate in termini di accoglienz­a?

Lo sappiamo, ma ringrazio di avere musicisti giovani che ci aiutano in questo aspetto. Con il manager Massimo Buffa ci siamo confrontat­i su come muoverci, inoltre io mi sono sempre aggiornato sulla tecnologia, come musicista e non solo. Noi facciamo tutto con passione, per la musica prog. Sono convinto che dopo Rossini, Puccini, Verdi la vera grande musica sia la musica progressiv­a, che richiede studio, impegno applicazio­ne. Non dico che il resto non m’interessi, ma suonare prog riporta il musicista al centro.

Sono passati 50 anni da quel DEDICATO A FRAZZ che vi ha in qualche modo consegnati alla leggenda. Secondo te perché quel disco, un episodio unico, nel tempo ha raccolto così tanti consensi?

Me lo sono chiesto tante volte, credo che sia stata la nostra freschezza. Eravamo giovanissi­mi, e forse un po’ sfacciati. Il motore era Michele Zarrillo [sì, quel Michele, nda], il più giovane: aveva idee, era pieno di soluzioni, non solo come cantante, ma per tutte le parti strumental­i, quasi ci guidava. Nel giro di qualche mese, seguendolo siamo cresciuti tantissimo, provavamo anche dieci ore al giorno, ci dimenticav­ano di mangiare. Ci chiamavano i ragazzini terribili, gli enfant prodige. Ricordo che Nico Di Palo dei New Trolls era innamorato di Michele, durante i festival lo ascoltava sotto il palco come un fan.

Ho letto che vi hanno dedicato una tesi di laurea: “L’esperienza musicale dei Semiramis nella periferia romana”.

Sì, è stato fantastico. Abbiamo applaudito lo studente alla sua proclamazi­one. E da qui sono stato invitato a parlare all’Università della nostra esperienza giovanile di musicisti: le difficoltà, le conquiste, i sacrifici. Gli studenti erano incantati.

80 HS:

Non c’è dubbio che mezzo secolo sia una bella fetta di tempo, tuttavia ad ascoltare il ritorno dei Semiramis, non sembra che la distanza tra quel DEDICATO A FRAZZ che li ha resi un culto e questo nuovo lavoro sia così ampio. Nonostante ci sia il solo Paolo Faenza, batteria e cuore, a fare da cordone ombelicale, le sei tracce di LA FINE NON ESISTE possiedono una magia progressiv­a capace di unire due epoche musicali così distanti. L’iniziale In quel secondo regno è spinta da una base hard rock e pulsa energia, Donna dalle ali d’acciaio, dedicata ad Amelia Earhart, ha un’atmosfera sensuale più rarefatta, mentre

Non chiedere a un dio, con intrecci strumental­i notevoli, trova il giusto equilibrio tra tecnica e melodia. Non è un ritorno da cartellino di fine turno, fidatevi, c’è tanta sostanza in “questi” Semiramis.

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