Classic Rock (Italy)

Bob Dylan e le emorroidi di Napoleone

- Maurizio Becker mauriziobe­cker@stonemusic.it

“Èridicolo, comico e triste che certa gente abbia impiegato tanto del proprio tempo a pensare a qualcun altro. E poi, a chi? A me? Fatevi una vita, per cortesia”. Così tempo fa Bob Dylan liquidò tutti quelli che da anni si sforzano di interpreta­re il significat­o delle sue canzoni. Ma si sa, Dylan è sempre stato e ancora oggi desidera restare inafferrab­ile, quindi la sua uscita sarcastica non sorprende più di tanto. In realtà, che a lui piaccia o no, ogni fenomeno artistico viene prima o poi storicizza­to e diventa oggetto di studio, di analisi e di interpreta­zione. E non c’è dubbio che oramai anche il rock, una settantina di anni dopo la sua comparsa, si trovi in questa situazione. Ben vengano dunque approfondi­menti e rif lessioni utili a inquadrarl­o meglio e, magari, a presentarl­o nel modo giusto alle nuove generazion­i, a chi non l’ ha conosciuto se non di rif lesso e di seconda o terza mano. In questi giorni sto leggendo un libro che riguarda, guarda caso, proprio Bob Dylan. Un libro che fin dal titolo suscitereb­be in lui commenti feroci, ma che a mio avviso ogni dylaniano farebbe invece bene a leggere. Mi riferisco a Bob Knows. Conversati­ons with Dylanologi­sts. Lo ha scritto Marco Zoppas, un traduttore e insegnante di inglese trevigiano trapiantat­o a Roma, già autore di Ballando con mr. D (dove nel 2016 previde prima

di tutti l’assegnazio­ne del Premio Nobel a Dylan) e di Da Omero al rock. Anziché limitarsi a scrivere di Dylan, stavolta Zoppas ha conversato con alcuni dei dylanologi più riconosciu­ti a livello internazio­nale: giusto per fare qualche esempio, con Graley Herren (docente di Inglese alla Xavier University della Louisiana) ha rivoltato come un pedalino TIME OUT OF MIND; con Stephen Daniel Arnoff (CEO del Fuchsberg Jerusalem Center, un centro religioso e culturale di Gerusalemm­e) ha discusso della eredità spirituale di Dylan; con Aubrey L. Glazer (rabbino capo della Congregazi­one di Beth Abraham di Dayton, Ohio) ha accomunato in una rif lessione sulla cabala Dylan, Leonard Cohen e Stanley Kubrick; con lo scrittore e musicista Giulio Pantalei ha sottolinea­to le “affinità elettive” esistenti tra Dylan e David Lynch; con lo storico inglese Phil Mason (uno dei suoi libri s’intitola Napoleon’s Hemorrhoid­s: And Other Small Events that Changed History) ha affrontato il tema del messaggio cristiano di Dylan. Insomma, tutto fuorché il solito bla-bla al quale siamo abituati quando si tratta di libri su icone del rock. Il lavoro di Zoppas mi ha colpito molto, anche perché conferma ciò che da tempo stiamo sostenendo in queste pagine: che il rock è un universo ancora tutto da raccontare. E che non esiste un solo modo di farlo.

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In copertina: Iron Maiden
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