Neapolitan power
Cresciuti nel punk napoletano, con il quarto disco, The Devils confermano la loro attrazione per la musica degli anni 50 e 60 nata durante il lockdown.
Formati a Napoli nel 2015, sono costantemente in tour dal 2016, soprattutto all’estero. LET THE WORLD BURN DOWN è il secondo album prodotto con il californiano Alain Johannes (Chris Cornell, PJ Harvey, Vultures…). Abbiamo intervistato Erika Switchblade e Gianni Blacula, batteria e chitarre di questo power duo.
In cosa Alain si differenzia da Jim Diamond, che ha prodotto i vostri primi due dischi?
GB: All’inizio volevamo fare dischi davvero molto thrash punk, il primo durava diciassette minuti! Jim era il guru del garage di Detroit…
ES: Napoli ha una storia di underground punk che resiste tuttora dagli anni Ottanta. Posti dove suonare ce ne sono veramente pochi, però c’è una bella realtà, fatta di poche persone che ancora si sbattono per organizzare concerti e festival.
GB: Dopo due dischi così, avevamo bisogno di provare nuove strade, nuovi stimoli, e quindi abbiamo cercato un produttore più rock. Una precisazione: Jim ha prodotto BEAST MUST RECRET
NOTHING, WORLD lo abbiamo prodotto noi, lui ha curato mix e mastering.
ES: È interessante avere un parere esterno che non siano le solite due campane, ma ci sentivamo abbastanza maturi dal poterlo fare da soli. È stato stimolante.
GB: Decidere tutto da soli però è molto più stressante. Abbiamo fatto una lunga pre-produzione, per entrare in studio con le idee ben chiare.
Da dove viene la deriva blues di questo nuovo lavoro?
GB: Quando è scoppiata la pandemia, ho passato giornate intere a cercare vecchia musica nera: soul, blues, funk. Mi sono appassionato alle cantanti degli anni Cinquanta e Sessanta, personaggi dal talento straordinario che magari hanno fatto un solo 45 giri e sono scomparse, lasciando canzoni stupende, come Big City Lights di Cleo Randle.
ES: Sono molto legata alla scena rock in inglese. Teddy Boy Boogie dei Crazy Cavan ’n’ The Rhythm Rockers per me è un inno che è ingiustamente trascurato dalla maggior parte dei musicisti: il nostro ruolo è anche dare visibilità a musica poco conosciuta o apprezzata.
Qual è la forza del vostro duo?
GB: Erika è molto più selettiva di me, è quella che elimina i pezzi quando non funzionano.
ES: Gianni è una macchina da guerra, spara riff… fighi. Difficile che sbagli un colpo. A volte è anche fastidiosa questa cosa, che tira fuori riff che dici “cazzo, avrei voluto farlo io”.
E ora?
GB: Il tour parte il primo marzo da Bolzano, poi stiamo un mese in Europa, ad aprile suoniamo alcune date con Alain, a maggio siamo di nuovo in Germania, Francia e Svizzera, poi abbiamo i festival europei estivi, forse l’America. Il calendario si aggiorna giorno dopo giorno. Per il dopodomani, chissà… parliamo spesso di fare un altro progetto con più musicisti… Magari Buddy Guy sarà disponibile!
Il duo partenopeo torna con un disco pesantemente inf luenzato dalla musica nera americana degli anni 50 e 60, frutto della collaborazione col produttore Alain Johannes (suo anche il grande assolo nella dissonante e un po’ angosciante Horror And Desire). Se in Roar II e Shake ‘em si sentono gli strascichi punk degli esordi, la nuova direzione è ben chiara nel ritmo ipnotizzante del primo singolo Divine is the Illusion e da quello struggente di Til Life Do Us Part. Bello il lyric video dei baci più weird del cinema in bianco e nero ( Killers Kiss), belle le cover di Big City Lights di Cleo Randle e Teddy Boy Boogie – ma malato – dei Crazy Cavan ’n’ the Rhythm Rockers.
Per una volta giudicate il disco dalla copertina, una versione molto pop di Salomé con la testa di Giovanni Battista.